diretto da Francesca Patanè

settembre-ottobre 2008 numero 80/81

Ma la ministra non sbaglia del tutto…

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di Francesca Patanè

Quello che non capisco non è l’esternazione del ministro Gelmini che a Cortina d’Ampezzo ha criticato la preparazione degli insegnanti del Sud (esternazione che in buona parte condivido e poi vi dico perché).

Quello che non capisco è il suo ritrattare il giorno successivo.

Non è un buon segnale. Né di coraggio, né di consapevolezza della bontà delle proprie idee e della volontà di battersi per difenderle.
E’ questo che mi preoccupa, al di là del “pettegolezzo ideologico” nato intorno a una frase infelice. E mi impensierisce anche la scelta di esternazioni di tal fatta da parte di un ministro, anzi, di una ministra che dovrebbe doppiamente pesare le parole: in primo luogo per il ruolo istituzionale che ricopre, in secondo luogo per il suo essere donna, da molti ancora oggi ritenuto un handicap in partenza, in un mondo declinato ancora quasi tutto al maschile.
Mi chiedo come una ministra così poco convinta e convincente possa essere in grado di contrastare – ovvero di riconoscere, anticipare con abili contromosse, combattere e vincere – tutto il “pelo” dell’Accademia nazionale imbevuta di pluridecennale e radicata malauniversità, dove i “furbetti” sono i “baroni” e i “quartierini” le loro baronie, ovvero – manco a dirlo – chi più, chi meno, tutti gli Atenei italiani. Ricucci al confronto è un collegiale.

Detto questo, vi dico perché la ministra Gelmini in parte ha ragione.

La scuola italiana, come molte altre realtà sociali del Belpaese, viaggia da anni a due velocità, questo è noto.
Al Nord aggiornamento non è una parola e basta: è prassi consolidata a cui tutti i docenti, compresi i tanti di derivazione meridionale da tempo trapiantati in Settentrione, non sfuggono. (Stesso discorso potremmo fare per il personale tecnico-amministrativo delle scuole del Nord).

I docenti delle scuole meridionali, invece, non solo non curano l’aggiornamento – nemmeno quello a iniziativa privata, perché al Sud nessuno è disposto a investire un solo centesimo del proprio stipendio per migliorare la propria qualità professionale – ma non curano nemmeno altri particolari, che a qualcuno possono sembrare poco significativi e che invece rivestono un’importanza fondamentale e pesano, alla fine, sulla bilancia della più o meno qualificata offerta didattica di ciascun docente.

Mi riferisco alla dizione, per esempio.
Chi cura, dei docenti meridionali, dizione e accenti? Chi cura grammatica e sintassi delle loro “esternazioni didattiche”?

Quando dal Sud i professori-emigrati della scuola italiana si trasferiscono al Nord, pieni di desiderio di emulazione, acquisiscono più o meno subito lo stesso modo di parlare della gente del Nord e dei loro nuovi colleghi docenti: stesse inflessioni, stesse cadenze, stessi modi di dire, stessi “tic” lessicali, stessa - per quanto possibile – precisione linguistica (fortunatamente non sono stupidi e imparano presto). Credono in questo modo di potersi uniformare di più, di coprire le distanze, di confondersi con gli autoctoni.
Bene, non c’è niente di male, è persino apprezzabile, se mettiamo da parte quel certo fastidio che si avverte (io, almeno, lo avverto) quando, già all’indomani del trasferimento, li sentiamo parlare con quel modo forzato e ridicolo tipico della gente del Sud trapiantata in Settentrione.

I docenti delle scuole del Meridione, invece, (su quelli siciliani non ho dubbi) sono gli stessi che per decenni hanno fatto del dialetto la loro lingua ufficiale, qualche volta persino in classe, dunque non solo nell’ambito della propria cerchia privata. Nessuno li ha mai spronati a cambiare, d’accordo - la scuola anche in questo ha sempre latitato – ma loro per primi non si sono mai neppure posti il problema con qualche ben collaudato corso di lingua, di dizione, ma anche di grammatica italiana ad iniziativa personale.

Non è antisicilianità, la mia - ci mancherebbe, sono siciliana e non ho alcun complesso di inferiorità per questo! - né voglia di abolire il passato glorioso della “lingua siciliana”, che potrebbe essere inserita – ben a ragione - all’interno di innovativi programmi di studio e di valide iniziative didattiche. Ciò non solo contribuirebbe a valorizzare il dialetto locale (io parlo di “siciliano”, ma lo stesso discorso potrei fare per tutti gli altri dialetti del Meridione). In questo modo la “lingua autoctona” acquisterebbe valore e soprattutto – tornando ai professori siciliani che per decenni si sono nutriti di pane e dialetto - non servirebbe a dimostrare i limiti culturali dei docenti dell’Isola.
Ma questa è un’altra storia che non è il caso di affrontare qui.

Detto ciò, sarebbe ingeneroso, da parte mia, non spezzare almeno una lancia a favore dei professori meridionali: non farei un buon servizio alla verità.

Pertanto pongo una domanda al ministro Gelmini (e anche all’amico Bossi, la cui moglie, Manuela Marrone, è siciliana di Favara, provincia di Agrigento, e docente al Nord Italia): considerato che la maggior parte degli insegnanti che insegnano in Settentrione sono provenienti dal Sud e che senza di loro la scuola del Nord si immobilizzerebbe, e considerato pure che tali docenti sono vincitori di concorso o hanno comunque superato una selezione di merito, cosa si sta organizzando per tarpare le ali a tutti quegli elementi “migliori” provenienti dal Sud che vincono i concorsi al Nord e cominciano la loro più che lecita attività di docenti emigrati?
Cosa si sta pensando per assicurare quei posti “usurpati” ai docenti del Nord che già in partenza, per non aver superato quelle stesse selezioni, sono stati etichettati, da commissari di concorso e selettori vari, di qualità inferiore?

Al di là dei torti e delle ragioni, è pericoloso dare la stura, attraverso esternazioni come quelle del ministro Gelmini, a polemiche sterili che non risolvono i problemi della scuola italiana e, al contrario, contribuiscono ad alimentarne il caos che attualmente sta ignominiosamente vivendo.

(Della protesta studentesca contro i provvedimenti governativi attualmente all'esame del Parlamento e riguardanti l'Università scriverò sul prossimo numero, a bocce - speriamo - finalmente ferme).


 


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