I fannulloni di Stato almeno un merito ce l’hanno: l’aver avviato, pur se
indirettamente e inconsapevolmente, la “rivoluzione Brunetta” per la riforma
della
Pubblica Amministrazione.
Perché il neoministro della Funzione Pubblica è partito proprio dalla
constatazione della loro presenza inetta, diffusa capillarmente su tutto il
territorio italiano, per osservare con occhio critico gli effetti deleteri di
una burocrazia accondiscendente, molle e lassista, che da anni è corrotta e
corrompe ogni aspetto della vita sociale e produttiva del nostro Paese.
Le intenzioni del ministro, che sembrano sincere e meritevoli di apprezzamento,
se non si arenano lungo la strada e non
si lasciano abbattere dai soffi (sindacali) di vento contrario, probabilmente
qualche effetto produrranno, perché sarà pure poco
democratico il pugno duro, ma io per prima - e la maggior parte degli italiani
insieme a me - sono stanca di assistere a
compromessi e mediazioni: a mali estremi occorrono estremi rimedi.
Ben venga, dunque, il giro di vite per i medici conniventi scoperti a dichiarare
il falso nelle certificazioni; ben venga lo stop
agli incentivi a pioggia; ben vengano le operazioni-trasparenza e la
pubblicazione dei tassi di assenza dei dipendenti; gli
indicatori della produttività per la valutazione del personale; i licenziamenti
per scarso rendimento e le responsabilità
dirette dei dirigenti davanti alla Corte dei Conti - con indennizzo del danno
cagionato - a garanzia del rispetto dei termini
massimi di conclusione dei procedimenti; ben vengano le disposizioni per
limitare l’uso (abusato, specie in ambito universitario)
delle collaborazioni esterne e delle consulenze, escamotage per far rientrare
dalla finestra tutto ciò che non riesce a
entrare dalla porta principale.
Soluzioni drastiche di un ministro risoluto, a cui non siamo abituati e che in
tutta sincerità mi sorprendono molto piacevolmente.
Ma Renato Brunetta ha fatto di più e oltre a dichiarare guerra ai fannulloni –
molti dei quali ai vertici delle Amministrazioni e
diretti responsabili di una malagestione di Stato generalizzata - ha
scoperchiato, con dati e grafici alla mano riferiti
all’anno 2006, la pentola delle assenze per motivi sindacali - 121 milioni e 440
mila euro l'anno il costo stimato per la
Pubblica Amministrazione - che, tra distacchi retribuiti, permessi per
espletamento di mandato, permessi per riunioni,
aspettative e permessi non retribuiti, pesano sull’economia generale
dell’organizzazione di ogni comparto pubblico.
Le 830.598 giornate di distacchi retribuiti corrispondono – secondo la relazione
Brunetta - a un anno di assenza dal
servizio di 2.276 dipendenti; a queste giornate ne vanno sommate altre 17.095,
per permessi cumulati sotto forma
di distacco, che corrispondono all'assenza annuale dal servizio di ulteriori 47
dipendenti.
Ci sono poi 263.466 giornate di permessi retribuiti per l'espletamento del
mandato, corrispondenti all'assenza, sempre
per un anno, di 1.198 dipendenti, e 115.868 giornate per le riunioni degli
organismi direttivi statutari (527 dipendenti).
A ciò si aggiungono 140.169 giornate di aspettative e 2.178 di permessi non
retribuiti, che equivalgono ad altri 394 dipendenti
assenti per un anno.
Bisogna poi considerare le aspettative e i permessi per funzioni pubbliche
elettive: 817.144 giornate, equivalenti a 2.239
dipendenti assenti e a un costo stimato di altri 67 milioni.
Dunque, escludendo aspettative e permessi non retribuiti e per cariche elettive,
sono 4.048 i dipendenti pubblici assenti per
un anno. Ed è vero che in rapporto ai 3.213.521 esistenti in Italia (dati del
2003 della Ragioneria Generale dello Stato) si
tratta solo dello 0,125% degli impiegati, ma se coraggiosamente si riuscisse a
sollevare il velo delle connivenze che per anni e
anni hanno caratterizzato (e caratterizzano ancora) i rapporti tra Pubblica
Amministrazione e (specie alcune) sigle sindacali e
si guardasse all’ inefficienza, all’improduttività e alla malagestione del
quotidiano di ogni P.A., si potrebbe arrivare a
sostenere che anche le assenze dal servizio per motivi sindacali - troppe
assenze e soprattutto troppi dipendenti
sindacalizzati: occorrerebbe al più presto che ciascuna sigla razionalizzasse
compiti e funzioni per fare chiarezza in un
sottobosco parassitario fatto di piccoli privilegi e convenienze di parte (e di
partito); occorrerebbe scoprire molti di loro
in veste sindacale che ruolo ricoprono all’interno delle strutture di
appartenenza e se questo ruolo serve davvero alla causa
comune (dei lavoratori) o sono solo pretesti per favoritismi, assenteismi,
atavici ritardi sulle tabelle di marcia – si potrebbe
arrivare a sostenere, dicevo, che anche le assenze dal servizio per motivi
sindacali, ancorché correttamente motivate, incidono in
modo pernicioso sull’andazzo generale della burocrazia italiana.
Non intendo condannare, naturalmente, il nobile Istituto del sindacato (caso mai
alcune sue degenerazioni dietro le quali c’è
sempre l’uomo), né calpestare alcun diritto ormai da tempo (fortunatamente)
acquisito, ma, senza voler liquidare la questione in
modo brusco e approssimativo, e tornando ai fannulloni di Renato Brunetta,
personalmente ritengo (e se uno più uno fa due, forse
anche il ministro, sotto sotto, lo ritiene…) che molti di essi siano - e ormai da
tempo - imboscati tra le pieghe delle sigle
sindacali che hanno fatto finora il bello e il cattivo tempo di ogni Pubblica
Italica Amministrazione.
E ora crocifiggetemi pure: quello che avevo da dire su questo argomento l’ho già
detto.
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