diretto da Francesca Patanè

giugno-luglio/agosto 2008 numero 78/79

Fannulloni e imboscati

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di Francesca Patanè

I fannulloni di Stato almeno un merito ce l’hanno: l’aver avviato, pur se indirettamente e inconsapevolmente, la “rivoluzione Brunetta” per la riforma della Pubblica Amministrazione.
Perché il neoministro della Funzione Pubblica è partito proprio dalla constatazione della loro presenza inetta, diffusa capillarmente su tutto il territorio italiano, per osservare con occhio critico gli effetti deleteri di una burocrazia accondiscendente, molle e lassista, che da anni è corrotta e corrompe ogni aspetto della vita sociale e produttiva del nostro Paese.

Le intenzioni del ministro, che sembrano sincere e meritevoli di apprezzamento, se non si arenano lungo la strada e non si lasciano abbattere dai soffi (sindacali) di vento contrario, probabilmente qualche effetto produrranno, perché sarà pure poco democratico il pugno duro, ma io per prima - e la maggior parte degli italiani insieme a me - sono stanca di assistere a compromessi e mediazioni: a mali estremi occorrono estremi rimedi.

Ben venga, dunque, il giro di vite per i medici conniventi scoperti a dichiarare il falso nelle certificazioni; ben venga lo stop agli incentivi a pioggia; ben vengano le operazioni-trasparenza e la pubblicazione dei tassi di assenza dei dipendenti; gli indicatori della produttività per la valutazione del personale; i licenziamenti per scarso rendimento e le responsabilità dirette dei dirigenti davanti alla Corte dei Conti - con indennizzo del danno cagionato - a garanzia del rispetto dei termini massimi di conclusione dei procedimenti; ben vengano le disposizioni per limitare l’uso (abusato, specie in ambito universitario) delle collaborazioni esterne e delle consulenze, escamotage per far rientrare dalla finestra tutto ciò che non riesce a entrare dalla porta principale.
Soluzioni drastiche di un ministro risoluto, a cui non siamo abituati e che in tutta sincerità mi sorprendono molto piacevolmente.

Ma Renato Brunetta ha fatto di più e oltre a dichiarare guerra ai fannulloni – molti dei quali ai vertici delle Amministrazioni e diretti responsabili di una malagestione di Stato generalizzata - ha scoperchiato, con dati e grafici alla mano riferiti all’anno 2006, la pentola delle assenze per motivi sindacali - 121 milioni e 440 mila euro l'anno il costo stimato per la Pubblica Amministrazione - che, tra distacchi retribuiti, permessi per espletamento di mandato, permessi per riunioni, aspettative e permessi non retribuiti, pesano sull’economia generale dell’organizzazione di ogni comparto pubblico.
Le 830.598 giornate di distacchi retribuiti corrispondono – secondo la relazione Brunetta - a un anno di assenza dal servizio di 2.276 dipendenti; a queste giornate ne vanno sommate altre 17.095, per permessi cumulati sotto forma di distacco, che corrispondono all'assenza annuale dal servizio di ulteriori 47 dipendenti.
Ci sono poi 263.466 giornate di permessi retribuiti per l'espletamento del mandato, corrispondenti all'assenza, sempre per un anno, di 1.198 dipendenti, e 115.868 giornate per le riunioni degli organismi direttivi statutari (527 dipendenti).
A ciò si aggiungono 140.169 giornate di aspettative e 2.178 di permessi non retribuiti, che equivalgono ad altri 394 dipendenti assenti per un anno.
Bisogna poi considerare le aspettative e i permessi per funzioni pubbliche elettive: 817.144 giornate, equivalenti a 2.239 dipendenti assenti e a un costo stimato di altri 67 milioni.

Dunque, escludendo aspettative e permessi non retribuiti e per cariche elettive, sono 4.048 i dipendenti pubblici assenti per un anno.
Ed è vero che in rapporto ai 3.213.521 esistenti in Italia (dati del 2003 della Ragioneria Generale dello Stato) si tratta solo dello 0,125% degli impiegati, ma se coraggiosamente si riuscisse a sollevare il velo delle connivenze che per anni e anni hanno caratterizzato (e caratterizzano ancora) i rapporti tra Pubblica Amministrazione e (specie alcune) sigle sindacali e si guardasse all’ inefficienza, all’improduttività e alla malagestione del quotidiano di ogni P.A., si potrebbe arrivare a sostenere che anche le assenze dal servizio per motivi sindacali - troppe assenze e soprattutto troppi dipendenti sindacalizzati: occorrerebbe al più presto che ciascuna sigla razionalizzasse compiti e funzioni per fare chiarezza in un sottobosco parassitario fatto di piccoli privilegi e convenienze di parte (e di partito); occorrerebbe scoprire molti di loro in veste sindacale che ruolo ricoprono all’interno delle strutture di appartenenza e se questo ruolo serve davvero alla causa comune (dei lavoratori) o sono solo pretesti per favoritismi, assenteismi, atavici ritardi sulle tabelle di marcia – si potrebbe arrivare a sostenere, dicevo, che anche le assenze dal servizio per motivi sindacali, ancorché correttamente motivate, incidono in modo pernicioso sull’andazzo generale della burocrazia italiana.

Non intendo condannare, naturalmente, il nobile Istituto del sindacato (caso mai alcune sue degenerazioni dietro le quali c’è sempre l’uomo), né calpestare alcun diritto ormai da tempo (fortunatamente) acquisito, ma, senza voler liquidare la questione in modo brusco e approssimativo, e tornando ai fannulloni di Renato Brunetta, personalmente ritengo (e se uno più uno fa due, forse anche il ministro, sotto sotto, lo ritiene…) che molti di essi siano - e ormai da tempo - imboscati tra le pieghe delle sigle sindacali che hanno fatto finora il bello e il cattivo tempo di ogni Pubblica Italica Amministrazione.

E ora crocifiggetemi pure: quello che avevo da dire su questo argomento l’ho già detto.


 


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