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La vasca da
bagno fu inventata nel 1850, il telefono nel 1875. Se foste vissuti nel
1850, avreste potuto stare in vasca per 25 anni senza sentir squillare il
telefono.
Jacob M. Braude
Alzi la mano chi non l’ha maledetto almeno una volta nella sua vita, ma
anche chi non l’ama o chi ne può fare a meno.
Non c’è rapporto più contraddittorio di quello tra l’individuo e il
telefono.
Lo sa bene la palermitana Palma Civello, docente di Lettere alle Scuole
medie, pittrice, fotografa e scrittrice neofita (ma come trova il tempo per
tutte queste cose?), che al telefono ha dedicato, come si dice in gergo, la
sua prima fatica letteraria.
Da questa scelta – che non le invidiamo essendo tra quelli che il telefono
utilizzano solo perché qualche volta di necessità bisogna pur fare virtù –
si snocciolano sei microstorie di disagio quotidiano, tutte ruotanti intorno
a un telefono – più cellulare che fisso – principe indiscusso dei racconti,
e soprattutto intorno a cinque protagoniste e una comparsa, comparsa si fa
per dire, perché è l’unica, delle sei, che si impone per una “sana”
cattiveria di cui, tra tanti buonismi, sentimentalismi e sensi di colpa, si
sentiva veramente il bisogno (c’è un’altra protagonista, per la verità, che
reagisce vendicativa, ma lo fa per amore e pertanto, scusate i nostri limiti
“romantici”, ma non ci sentiamo di definirla “cattiva”).
Magda, Susanna (la perfida di cui sopra, protagonista quel maschilista di
Cris), Cloe, Ermione, Alba e Ilaria.
E già a cominciare dai nomi abbiamo cominciato a sospettare. Che cosa? Che
dietro le sei protagoniste al telefono ci fosse un po’ anche lei, Palma.
Non la conosciamo, l’autrice di questo libricino pubblicato da una casa
editrice rigorosamente palermitana. Ma è facile pensarla non più
giovanissima (come i nomi delle sue donne, d’altra parte, tutti un po’
retrò), in un eterno equilibrio (precario o meno, non riusciamo a
immaginare) tra privato e pubblico, tra le tende del suo salotto (di
cretonne polveroso di joyciana memoria?), i suoi quadri, le sue poesie (già,
perché, tra le tante cose che fa, Palma trova pure il tempo di scrivere
poesie, come tutto il resto delle donne italiane), e i suoi studenti, le sue
lezioni in classe.
E la vediamo muoversi tra i fornelli, insieme a Magda;
raccontare le minuzie di una vita all’amica del cuore, come Cloe fa con
quell’Angelo sconosciuto, a cui si è forse troppo frettolosamente donata (ma
davvero Angelo ha preferito la tonaca alla “dolcissima e unica” Cloe?
Speriamo ci ripensi, magari in un prossimo libro); la immaginiamo Ermione,
innamorata dell’amore e delle sue sorprese “edulcorate” (se non capite,
leggete il libro della Civello); la pensiamo in lacrime con Alba per quel
progetto d’amore andato in fumo; la sentiamo determinata nelle sue scelte di
vita. Come Ilaria, l’ultima sua donna.
“Volti e svolte al telefono” si legge in una sera (ve lo consigliamo, in
sostituzione dell’ennesimo reality-spazzatura della nostra tv
nazional-popolare), non ha pretese (nemmeno la sua autrice, crediamo, che
sicuramente non si sentirà una scrittrice per avere scritto un libro), ha
alcune ingenuità stilistiche e narrative che farebbero arricciare il naso a
molti critici del giro (quello scostante dell’ortodossia editoriale), ha
delle imperfezioni linguistiche (alcune volute, riteniamo), è lontano anni
luce dagli artifizi cui spesso ricorrono gli scrittori veri, ma è sincero, e
questo - nell’ipocrisia generalizzata della società in cui per viltà o
abitudine ci costringiamo a vivere (perché non riusciamo a decidere, anche
noi come Ilaria, di estrarre la sim, spezzarla e lasciarla nel posacenere?)
– è importante e ci induce all’indulgenza.
In Palma Civello c’è sicuramente la stoffa, e c’è una tecnica da raffinare,
ma il suo libro ha almeno un pregio: ci mette nudi e ci costringe a
guardarci (cellulite compresa, quando c’è).
Palma Civello, “Volti e svolte al telefono”, Palermo, La Zisa/racconti 2008,
pag. 124
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