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Il Palazzo Reale di Milano si
conferma uno dei luoghi di cultura più ricchi a livello nazionale,
incontrando, con le sue mostre, i gusti dei più svariati visitatori.
Chi vorrà fare un viaggio nell’arte neoclassica potrà visitare la mostra su
Canova, chi vorrà conoscere meglio le Avanguardie potrà gustare quella su
Giacomo Balla - entrambe fino al 2 giugno - e chi invece vorrà ripercorrere
le tappe fondamentali della produzione artistica al femminile, dal
Rinascimento al Surrealismo, avrà tempo fino al 6 aprile per assistere alla
mostra “L’arte delle donne”.
Il 5 marzo al Palazzo Reale di Milano è stata inaugurata – a cura di Rudy
Chiappini - l’antologica su Francis Bacon, a cui in Italia non veniva
dedicata una rassegna dal 1993, l’anno successivo alla sua morte, avvenuta
nel ’92.
Dopo le consueti note biografiche sull’autore, in cui spicca prepotentemente
la figura paterna, che mai accetterà l’omosessualità del figlio e le sue
stravaganze (tra cui il travestitismo), l’esposizione – organizzata sotto
l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e promossa dall’Assessorato
alla Cultura del Comune di Milano e da Skira Editore - si apre con una
riproduzione fotografica dell’atelier di Bacon al 7 di Reece Mews, South
Kensington, Londra: attraverso la proiezione di immagini sulle pareti e
l’esposizione in vetrina di schizzi, stralci di giornale e fotografie
consunte presenti proprio nello studio dell’autore, sembra quasi ricrearsi
la confusione dell’ambiente nel quale Bacon lavorava, così come il disordine
del suo inconscio, che ne caratterizzò poi in maniera evidente la stessa
produzione.
Descrivere le opere di Bacon è impresa ardua, non a caso la parte forse più
interessante di tutta la mostra è proprio una vecchia intervista nella quale
l’autore parla di sé e del suo mondo.
Solo soffermandosi sul suo sguardo, mentre parla del fascino della carne da
macello, è possibile comprendere un quadro come “Quarto di bue” o l’uso di
corpi massicci, flaccidi e indefiniti coinvolti in scene di accoppiamento;
soltanto lasciandogli spiegare perché in certi suoi quadri quelle figure
sono inchiodate con spilli e siringhe è possibile capire “Two studies of a
portrait of Gorge Dyer”; solo lo stesso Bacon poteva illuminare sulla natura
dei suoi Trittici, che, anziché ispirarsi alla tradizione classica
religiosa, fanno riferimento alle foto segnaletiche dei criminali; soltanto
lui poteva parlare della sua ossessione per “Ritratto di papa Innocenzo X”
di Velázquez, che lo spingerà poi a rileggere in chiave moderna la figura
papale, sospesa tra disperazione e follia.
E che dire delle bocche? I volti nei suoi quadri sono sempre distorti, ma la
bocca sembra essere l’unico elemento che si salva da quel caos:
all’intervistatore che gli chiedeva come mai si concentrasse tanto su quel
dettaglio anatomico, soltanto Bacon poteva rispondere di aver maturato una
passione per la bocca dopo aver visto un libro con immagini di tutte le
malattie della cavità orale e di averne amato i colori e le sfumature al
punto da volerli riprodurre. E alla domanda, incalzante, sul perché quelle
bocche fossero sempre nere, soltanto un uomo come Bacon - sottile, acuto e
sarcastico – poteva rispondere di aver fallito nel suo intento…
Per il modo in cui ha turbato, turba e turberà gli spettatori, il suo
intento, l’irriverente Bacon, l’ha invece perfettamente centrato.
La mostra rimarrà aperta fino al 29 giugno.
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