marzo 2008 numero 75

cultura
L’allucinato mondo di Francis Bacon
 
Inaugurata a Milano un’antologica sul pittore a sedici anni dalla morte
 

di Manfredi Pomar

nella foto: Francis Bacon - Studio per un ritratto di Henrietta Moraes (1969)

Il Palazzo Reale di Milano si conferma uno dei luoghi di cultura più ricchi a livello nazionale, incontrando, con le sue mostre, i gusti dei più svariati visitatori.
Chi vorrà fare un viaggio nell’arte neoclassica potrà visitare la mostra su Canova, chi vorrà conoscere meglio le Avanguardie potrà gustare quella su Giacomo Balla - entrambe fino al 2 giugno - e chi invece vorrà ripercorrere le tappe fondamentali della produzione artistica al femminile, dal Rinascimento al Surrealismo, avrà tempo fino al 6 aprile per assistere alla mostra “L’arte delle donne”.

Il 5 marzo al Palazzo Reale di Milano è stata inaugurata – a cura di Rudy Chiappini - l’antologica su Francis Bacon, a cui in Italia non veniva dedicata una rassegna dal 1993, l’anno successivo alla sua morte, avvenuta nel ’92.

Dopo le consueti note biografiche sull’autore, in cui spicca prepotentemente la figura paterna, che mai accetterà l’omosessualità del figlio e le sue stravaganze (tra cui il travestitismo), l’esposizione – organizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e da Skira Editore - si apre con una riproduzione fotografica dell’atelier di Bacon al 7 di Reece Mews, South Kensington, Londra: attraverso la proiezione di immagini sulle pareti e l’esposizione in vetrina di schizzi, stralci di giornale e fotografie consunte presenti proprio nello studio dell’autore, sembra quasi ricrearsi la confusione dell’ambiente nel quale Bacon lavorava, così come il disordine del suo inconscio, che ne caratterizzò poi in maniera evidente la stessa produzione.

Descrivere le opere di Bacon è impresa ardua, non a caso la parte forse più interessante di tutta la mostra è proprio una vecchia intervista nella quale l’autore parla di sé e del suo mondo.

Solo soffermandosi sul suo sguardo, mentre parla del fascino della carne da macello, è possibile comprendere un quadro come “Quarto di bue” o l’uso di corpi massicci, flaccidi e indefiniti coinvolti in scene di accoppiamento; soltanto lasciandogli spiegare perché in certi suoi quadri quelle figure sono inchiodate con spilli e siringhe è possibile capire “Two studies of a portrait of Gorge Dyer”; solo lo stesso Bacon poteva illuminare sulla natura dei suoi Trittici, che, anziché ispirarsi alla tradizione classica religiosa, fanno riferimento alle foto segnaletiche dei criminali; soltanto lui poteva parlare della sua ossessione per “Ritratto di papa Innocenzo X” di Velázquez, che lo spingerà poi a rileggere in chiave moderna la figura papale, sospesa tra disperazione e follia.

E che dire delle bocche? I volti nei suoi quadri sono sempre distorti, ma la bocca sembra essere l’unico elemento che si salva da quel caos: all’intervistatore che gli chiedeva come mai si concentrasse tanto su quel dettaglio anatomico, soltanto Bacon poteva rispondere di aver maturato una passione per la bocca dopo aver visto un libro con immagini di tutte le malattie della cavità orale e di averne amato i colori e le sfumature al punto da volerli riprodurre. E alla domanda, incalzante, sul perché quelle bocche fossero sempre nere, soltanto un uomo come Bacon - sottile, acuto e sarcastico – poteva rispondere di aver fallito nel suo intento…

Per il modo in cui ha turbato, turba e turberà gli spettatori, il suo intento, l’irriverente Bacon, l’ha invece perfettamente centrato.

La mostra rimarrà aperta fino al 29 giugno.


 


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