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“La Sicilia potrebbe essere la
California d’Italia se non addirittura d’Europa” …
Quante volte abbiamo sentito pronunciare demagogicamente queste parole dai
soliti soloni romani o di stirpe padana di turno? Tante, forse anche troppe.
La Sicilia con il suo clima mite, coi suoi tesori d’arte, con i suoi
paesaggi mozzafiato, potrebbe essere la “perla” del Mediterraneo posta com’è
al centro di quello che fu il “Mare Nostrum”, crocevia naturale di incontro
per le molteplici culture sviluppatesi nel tempo lungo le coste di questo
vastissimo “lago” interno …
Certo, come la nostra Sicilia la California ha un clima mite (però non è al centro di
nulla, posta com’è in riva ad un Oceano lungo la costa occidentale del
continente americano), ha tante attrattive turistiche di tipo naturalistico,
ha prestigiose Università (Berkley, Stanford, Santa Barbara, per citarne
solo qualcuna), ma con la nostra Isola che cos’ha da dividere?
La California (quella vera, quella targata “stelle e strisce”) è qualcosa di
più rispetto alla terra evocata – a convenienza – con notevole
superficialità da politici e uomini d’affari nostrani …
Non bastano il bel clima e qualche località turistica di un certo tenore a
pareggiare i conti con uno dei più importanti e rappresentativi Stati della
Federazione americana.
Anni fa, Ronald Regan, quando decise – da governatore della California - di
correre per la Presidenza degli Stati Uniti d’America, si sentì chiedere da
un incauto rappresentante della carta stampata d’Oltreoceano a quale titolo,
lui ex divo di Hollywood, stesse avanzando la sua candidatura per porsi alla
guida di una delle due superpotenze del pianeta.
Regan fissò negli occhi il giornalista e rispose: “Egregio signore, io sarò
stato un attore, ma sono anche il governatore della California e le ricordo
che se questo Stato fosse indipendente, sarebbe la quinta potenza
industriale del pianeta: è con queste credenziali che io avanzo la mia
candidatura a presidente degli Stati Uniti d’America”.
Questa risposta ci riconduce all’interrogativo iniziale: a quale California
si riferiscono politici e uomini d’affari nostrani quando accostano la
nostra Isola allo Stato americano, oggi governato da un altro divo di
Hollywood? Solo a quella del turismo e della “cultura a perdere”?
Dovremmo rifiutarci di accettare un paragone “a metà”, anche perché la
parzialità, in questo caso, è frutto di uno strabismo patologico, oltre che
indotto.
La Sicilia, infatti, nei periodi migliori della sua plurimillenaria storia
non è stata al centro solo di scambi e relazioni culturali, ma anche di
traffici e scambi commerciali di notevole importanza.
Oggi, a giustificazione dell’arretratezza industriale dell’Isola, spesso ci
si rinfaccia la nostra “perifericità”.
Ma, anche qui, dovremmo domandarci: perifericità rispetto a che cosa?
Alla Mitteleuropa? Forse. Ma allora, per la legge della transitività,
potremmo dire che forse è la Mitteleuropa a essere periferica rispetto al
Mediterraneo di cui la Sicilia rappresenta il centro geografico.
Dunque, considerato che, attraverso il Mediterraneo (da Suez a Gibilterra e
viceversa), passa una delle arterie commerciali più importanti del nostro
pianeta, lungo la quale – nell’un senso e nell’altro – transitano miriadi di
tonnellate di materie prime grezze e di prodotti finiti, a quale California
dovremmo guardare come modello?
Con l’occhio di Polifemo (come vorrebbero in tanti) solo al turismo
culturale? O non invece, con occhio imprenditoriale, anche - come sarebbe
più corretto - alla California industriale cui si riferiva orgogliosamente
Regan?
Perché la Sicilia dovrebbe rinunciare a sviluppare una forte industria di
trasformazione in grado di “intercettare” flussi sempre più considerevoli di
materie prime in transito nel Mediterraneo?
Perché e in nome di che cosa la Sicilia e i siciliani dovrebbero rinunciare
alla vocazione industriale e commerciale che è nel loro Dna?
Chi ha paura in Italia e in Europa di una Sicilia industrializzata?
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