Com’è possibile che a Palermo tutto diventa eccesso? Che non esista una via di
mezzo “virtuosa”, secondo la lex romana? Che è tutto bianco (quasi mai) o tutto
nero (quasi sempre)? Che non si ha ben chiaro il concetto che, quando si
esagera, anche il bene diventa male? Che chi dovrebbe sapere non sa dove finisce
la giusta pretesa (dell’osservanza della norma) e comincia l’abuso di potere (o
l’interesse privato in atto pubblico)? Che c’è una differenza sostanziale,
eppure a Palermo indefinita e indefinibile, tra la stupidità e la malafede?
Prendiamo il caso della Cittadella universitaria di viale delle Scienze (non
ditemi che è una fissa: anche stavolta ne parlo, come sul numero scorso, ma per
un altro problema): una zona franca, fino a qualche anno fa, che oltre a essere,
come sapete, sede ideale di cani e pulci (e di molti asini), è regno incontrastato – o per lo meno lo era – dell’inciviltà
degli auto-moto-patentati.
Qualche tempo fa
ne ho già scritto. Erano i tempi in cui, finalmente, dopo anni di disordini,
prepotenze e caos – i vertici amministrativi dell’Ateneo compresero che forse
sarebbe stato il caso di fare qualcosa per trasformare la sosta all’interno del
viale delle Scienze da selvaggia in civilizzata.
Operazione sicuramente non facile, intendiamoci. Almeno da Napoli in giù. Se
vuoi conoscere com’è un popolo guardalo mentre guida, santifica contro
“l’avversario” e soprattutto parcheggia, e avrai subito le idee chiare (e una
buona ragione per starci lontano).
Operazione doppiamente difficile quando, oltre a essere “naturalmente” incivile
(per collocazione geografica, spiace dirlo ma è così), il popolo di cui sopra
appartiene alla razza accademica.
Allora all’inciviltà per costituzione di molta gente del Sud (la controprova del
mio pesante assioma? Andate all’aeroporto di Milano e per capire, per esempio,
qual è l’uscita per Palermo non vi sarà necessario leggere sul display, vi
basterà dare un’occhiata alla gente che aspetta all’interno dell’aerostazione:
ancora una volta spiace dirlo, ma è così, e vi prego di non crocifiggermi,
anch’io sono siciliana), dicevo, all’inciviltà per costituzione di molta gente
del Sud, si aggiunge l’arroganza per “diritto di casta”. Certo non sono solo i
docenti a parcheggiare al viale delle Scienze, ci mancherebbe! Siamo abituati
anche alle scorrettezze dei giovani studenti auto e specialmente moto-patentati,
ma il problema non sta tanto nel determinare chi ha commesso l’abuso, piuttosto
nella diversa reazione che chi ha commesso l’abuso ha nei confronti della povera
vittima di turno, che vorrebbe poter uscire dal proprio parcheggio senza dovere
necessariamente volare per scavalcare l’auto o la moto posteggiata in doppia e
tripla fila.
La differenza è sostanziale (e personalmente verificata): se si tratta della
moto o dell’auto di uno studente, no problem, basta rintracciare il
menefreghista di turno (con un po’ di pazienza e molta fortuna) e risolvi il
problema. Ma se incappi nella fuoriserie (ma anche nell’utilitaria snob e un po’
demodé) del professore Tizio o della professoressa Caio, allora sei fregato.
Perché il prof o la profssa di turno - anche il/la più infimo/a nella scala dei
valori dell’Ateneo - ti manderà a dire col solito bidello o custode compiacente
di non rompergli/le i “cabasisi”, alias gli “zebedei” (non sottilizziamo sulle
differenze anatomiche: il corpo docente in Italia è “eccezionale”) perché
lui/lei sta facendo lezione, o dialogando sui massimi sistemi, o risolvendo
tutti in una volta i sei - ex sette – “problemi del millennio”, o grattandosi la
testa (causa pulci), o correggendo compiti… e non può occuparsi di cotante
misere esigenze umane.
E a te tocca aspettare. O, in alternativa, mettergli/le una bomba sotto l’auto.
Detto ciò, occorre ripetere che, da quando l’Ateneo ha finalmente regolamentato
la sosta al viale delle Scienze (leggasi convenzione con ditta di rimozione), la
situazione è leggermente migliorata, ma… c’è un ma (e mi riallaccio a quanto
scritto all’inizio): il regolamento pare sia diventato abuso. E il potere di
rimozione strumento ritorsivo.
La notizia. Uno studente ci ha fatto sapere di avere scritto al rettore
magnifico Giuseppe Silvestri per raccontargli di avere posteggiato l’auto al
viale delle Scienze “in un punto dove non esisteva alcun segnale che facesse
riferimento alla sosta vietata” e dove, in aggiunta, non dava “intralcio a
nessuno”, ma – sorpresa! – al momento di riprenderla, l’auto non c’era più: era
stata rimossa dal carro-attrezzi della ditta convenzionata con l’Ateneo.
Alle proteste del malcapitato è seguita la pronta risposta dei dipendenti della
ditta, che lo hanno invitato a saldare il debito “altrimenti la macchina sarebbe
rimasta in loro possesso”: per avere rimosso l’auto – questa la motivazione -
“voleva dire che dava fastidio”.
Io, naturalmente, non so da che parte sta il torto e la ragione, né sono a
conoscenza dei dettagli della convenzione con la ditta a cui l’Ateneo ha
affidato l’incarico, ma so come funziona il business delle multe, a Palermo, ma
anche nel resto d’Italia (le Associazioni dei consumatori - la notizia è di
questi giorni - hanno costituito a livello nazionale il “Comitato vittime multe”
per contrastare “il problema delle riscossioni e delle sanzioni, che spesso
rasentano l’illegalità e l’illegittimità”).
Per quei pochi che non sanno (come funziona il business delle multe), alcune
chicche sull’argomento: a Bologna nel 1959 – la notizia è tratta dal sito
Internet ufficiale della polizia municipale e protezione civile - venne
istituita l'indennità di vigilanza urbana, che sostituiva la quota percentuale
spettante ai vigili sui proventi delle contravvenzioni. Dunque l’esistenza della
percentuale prima del ’59 era ufficiale; quanto al dopo ’59, qualcuno mi
spieghi, per piacere, nel concreto – cioè negli effetti che produce - la
differenza tra “percentuale” e “indennità”.
Altra chicca (proveniente pure dal Nord, così per una volta non mi
crocifiggete): a Milano qualche tempo fa un’ordinanza sindacale avrebbe
richiamato i vigili urbani a essere più severi (e su ciò nulla quaestio). Il
fatto è però che, a quanto pare, avrebbe fissato anche una soglia minima di
multe, al di sotto della quale il comportamento dei vigili sarebbe stato preso
in esame… (lascio al vostro intuito le conseguenze dirette di questa
determinazione).
Ancora, scendendo geograficamente un po’ più giù (“Il Tempo” di Roma dell’11
aprile di quest’anno): titolo, “Più soldi a chi fa più multe”; sottotitolo:
“Accordo all’Atac: un premio di produzione ai vigilini che verbalizzano tante
contravvenzioni” (i vigilini, per chi non sapesse, sono gli ausiliari del
traffico).
Insomma, la verità è che il business delle multe in Italia c’è e funziona, e gli
introiti che derivano dalle contravvenzioni spesso non vengono utilizzati per i
fini stabiliti (sarebbe meglio dire, elencati molto rigidamente) dalla legge, ma
depistati altrove, come conferma, d’altra parte, anche il prof. Aldo Bardusco,
ordinario di Diritto costituzionale dell’Università Bicocca di Milano,
componente della Commissione giuridica nazionale Aci e presidente della
Commissione giuridica A.C. di Milano, che in una relazione scrive: “… molti enti
territoriali programmano di ottenere un determinato gettito dalle
contravvenzioni stradali, per usare gli incassi come volano di manovra
finanziaria, e come riserva monetaria liquida per fare fronte alle più svariate
necessità del bilancio dell’ente locale. I proventi, cioè, anziché servire per
gli impieghi voluti dal Codice della strada (e indicati in modo puntuale e
tassativo), vengono utilizzati da molte Amministrazioni secondo criteri e
logiche di pura opportunità gestionale. Le previsioni di impiego formulate in
modo vincolante dal Codice della strada vengono semplicemente ignorate…”.
Al di là delle differenze formali che esistono tra vigili e vigilini, dipendenti
pubblici e ditte private, dubbi e perplessità rimangono, nonostante lo stesso
Ministero dell’Interno con la circolare dell’8 marzo 2007 abbia sentito la
necessità di chiarire l’esatta applicazione del comma 564 della Finanziaria 2007
(“Vigili, niente aumenti dalle multe”, “Italia Oggi”, 16 marzo 2007).
Ma come funzionano generalmente gli accordi con le ditte private? E in
particolare, che cosa prevede la convenzione che l’Università di Palermo ha
siglato per il viale delle Scienze con la ditta di rimozione? Si tratta di un
accordo di base stabile, del tipo tu mi offri un servizio e io ti retribuisco
con una somma ben definita e immutabile, oppure la convenzione prevede (in
aggiunta o in esclusiva, in forma esplicita o in forma implicita) una
percentuale su ogni mezzo rimosso?
In questo momento non lo so. E dunque, in attesa di saperlo (vi terrò informati,
naturalmente), sono autorizzata a fare - come voi e come sicuramente lo studente
che ha scritto al rettore - le ipotesi più disparate (e tutte plausibili),
compresa appunto quella della percentuale su ogni “pezzo” rimosso, auto o moto
che sia. Se così fosse, le conseguenze sarebbero evidenti: l’istituto della
percentuale non favorisce di certo la trasparenza della gestione.
Ma entriamo nel merito del fatto di cui lo studente ci ha voluto informare.
Premesso che l’auto - come lui dice - è stata rimossa perché - così avrebbero
dichiarato gli impiegati della ditta - “dava fastidio”, e dunque non per mancata
osservazione di un cartello di zona rimozione, e premesso anche che il
“fastidio” è una situazione di disagio assolutamente personale e quindi né
misurabile né, a maggior ragione, “formalizzabile”, delle due l’una:
- o i cartelli di zona rimozione al viale delle Scienze di Palermo non sono
posti tutti correttamente, cioè nel modo più adeguato
- oppure l’auto del malcapitato studente era stata effettivamente parcheggiata
in una zona di assoluta tranquillità, senza cartelli di divieto e senza che
potesse arrecare disturbo ad alcuno.
Se fosse vera l’ipotesi due, l’abuso sarebbe evidente; se fosse vera l’ ipotesi
uno, a essere evidente sarebbe l’incompetenza di chi in quell’area
franca-quasi-ex-franca della città, di proprietà dell’Ateneo, ha predisposto il
piano-divieti.
Chi, meglio di Giuseppe Silvestri, rettore magnifico dell’Università di Palermo,
viale delle Scienze compreso, potrà dire quale delle due ipotesi è la più
corretta? (Aspettiamo una risposta, magari indiretta – com’è già avvenuto per i cani
randagi – attraverso le colonne del quotidiano locale).
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