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Stimato Direttore,
la stampa nazionale si occupa delle vicende solo quando deflagrano. Poi guarda
altrove.
Lei ha involontariamente provocato una deflagrazione e la storia è stata la
stessa. Solo altre esplosioni portano informazioni sugli schermi o sui tavoli
di tanti.
Il Suo giornale, però, si sta in realtà trasformando nell'unica fonte di
informazione che garantisce la continuità. Anche quando non ci sono
'deflagrazioni'.
Le propongo, e propongo a tutti i lettori, di fare in modo che Lei sia
depositaria di tutte quelle storie che non possono essere raccontate. Perché le
conseguenze per chi le racconta potrebbero essere nefaste.
Firmo questa lettera (ma Le chiedo di non divulgare il mio nome) e Le racconto
la mia storia.
Ci sarà un momento in cui Le sarà possibile arricchire con ulteriori esempi
la porzione di storia che ci sta raccontando.
Cordialità
Lettera firmata
La continuità? Garantita, ma a certe
condizioni
Gentile Lettore,
nell'attesa di conoscere in dettaglio il Suo caso, La ringrazio della proposta di
considerarmi, attraverso il mio giornale, "depositaria" di tutte quelle storie che
"non possono essere raccontate" se non a rischio di "conseguenze nefaste" per i diretti
interessati (che triste, se ci pensa).
Perciò rinnovo anche da qui, dopo averlo fatto sull'articolo di apertura
di questo stesso numero di "Ateneo Palermitano", la mia disponibilità a un "ascolto attivo", diciamo così.
Tuttavia la deontologia professionale mi impone di porre delle "condizioni" (scusi la brutta parola), precisate
sull'articolo al quale ho prima accennato e che spero Lei vorrà leggere.
Raccontare pubblicamente una storia di "disagio accademico" è utile solo quando è
"costruttivo": in caso contrario sarebbe solo una narrazione sterile che interesserebbe il protagonista e (forse) la
ristretta cerchia dei suoi amici e parenti, sicuramente non tutti gli altri.
E soprattutto non gioverebbe alla "causa".
Spero voglia condividere con me questa convinzione.
Grazie della stima.
f. p. |
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