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Possono i professori universitari a tempo pieno siciliani svolgere attività professionale per conto di Amministrazioni
statali ed Enti pubblici che come primo e più manifesto effetto hanno quello di far lievitare le loro già
corpose spettanze economiche?
Possono, cioè, i docenti full time degli Atenei di Palermo, Catania, Messina ed Enna accettare
incarichi retribuiti di qualsiasi tipo e senza preventiva
autorizzazione dei loro Organi accademici?
Una recente sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione Sicilia - la numero 185 dell'8 maggio 2006 -
ha detto no.
O meglio, possono svolgere attività di questo tipo, ma solo a condizione che
che queste attività - comunque autorizzate - non richiedano "normale competenza tecnica" bensì
"alta professionalità" nel settore.
La sentenza del Cga - emessa a seguito del ricorso in appello avanzato nel 2003 dell'Ordine degli agronomi e dottori
forestali della provincia regionale di Palermo
contro alcuni docenti della Facoltà di Agraria colpevoli di comportamenti non consoni al dettato normativo -
chiude in questo modo definitivamente la querelle sorta intorno alla questione:
l'ennesima tegola sulla testa di una Facoltà recentemente al centro dell'attenzione mediatica per motivi che
con la didattica e la ricerca di settore c'entrano ben poco (per non dire niente).
Questi i nomi dei docenti "battuti" dalle determinazioni del Cga: Giuseppe Asciuto, ordinario di Estimo rurale,
Antonino Bacarella, ordinario di Economia del mercato dei prodotti agricoli,
Riccardo Sarno, ordinario di Agronomia dei sistemi biologici
al Dipartimento di Agronomia ambientale e territoriale (Daat); insieme a loro, Francesco Maria Raimondo,
direttore del Dipartimento di Scienze botaniche.
Ma perché l'Ordine degli agronomi e dottori forestali della provincia di Palermo ha ritenuto di dover agire
nei confronti dei docenti sopra citati? Semplice. Perché quegli incarichi di studio agricolo-forestale provenienti
da Amministrazioni comunali e accettati con grande solerzia e in assoluta autonomia da quei docenti a tempo pieno
dell'Ateneo palermitano avrebbero potuto e anzi, secondo legge, avrebbero dovuto essere svolti da semplici laureati
in Scienze agricole e forestali che, invece, a causa loro, sono rimasti a spasso.
A chiarire ancora meglio il concetto già nel 2004 era intervenuta la seconda Sezione del Consiglio di Stato, che con
parere n. 1010 del 25 maggio e su quesito posto dal Ministero dell'Università sollecitato dal presidente
del Consiglio dell'Ordine che ha sollevato la questione, aveva affermato - proprio
in riferimento allo specifico caso - il principio secondo il quale "l'art. 3 della legge 18 marzo 1989 n. 118 - che consente
ai professori universitari a tempo pieno di svolgere attività per conto di Amministrazioni dello Stato,
Enti pubblici ed Organismi a prevalente partecipazione statale - non si riferisce ad un qualsiasi incarico retribuito
richiedente normale competenza tecnica, bensì ad incarichi che richiedano alta professionalità nello specifico campo
disciplinare oggetto dell'insegnamento di cui sono titolari; pertanto un professore universitario a tempo pieno
non può accettare da un Comune l'incarico di eseguire studi preparatori alla stregua della previsione di un P.R.G., sotto
l'aspetto agricolo-forestale, trattandosi di attività che, in base all'art. 3 della L.R. 15 gennaio 1991 n. 15,
può essere compiuta da meri laureati in Scienze agricole e forestali".
La sentenza - emessa nello specifico per i docenti di Agraria di Palermo, ma che fa giurisprudenza
in tutto il territorio nazionale - è estensibile naturalmente ai docenti universitari a
tempo pieno delle altre discipline: una lezione per tutti coloro che troppo spesso ricorrono a queste lucrose attività
parallele e che d'ora in poi dovranno darsi una regolata e agire - dopo l'autorizzazione degli Organi accademici - entro
i paletti fissati dal Cga. |
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