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Se è sfortuna occorre procurarle un corno rosso. Perché l'aria che tira dalle parti della docenza,
all'Università di Palermo, in questi ultimi tempi non è precisamente salubre, tutt'altro
(dove sono finiti i Vittorio Emanuele Orlando, i Michele Amari, gli
Stanislao Cannizzaro?).
Alcuni mesi fa nell'occhio del ciclone i due docenti di Agraria - Salvatore Tudisca e Antonino Bacarella - accusati
di associazione a delinquere e abuso d'ufficio e la cui indagine (ancora in corso) ha messo a soqquadro
l'ambiente poco trasparente dell'economia agraria accademica italiana; recentemente la notizia dell'arresto del
radiologo Giovanni Mercadante, professore associato di Radiologia interventistica alla Scuola di specializzazione di
Radiologia dell'Universita' di Palermo, primario del servizio di Radiodiagnostica e Radiologia Interventistica
dell'Ospedale oncologico palermitano "Maurizio Ascoli" e dal 2001 deputato regionale di Forza Italia con incarico, nella
passata legislatura, di componente delle Commissioni Bilancio e Servizi sociali e sanitari
dell'Assemblea Regionale Siciliana.
Il provvedimento - firmato dal gip Maria Pino - per l'entità dell'accusa
è una mannaia: associazione mafiosa e voto di scambio.
L'ordinanza di custodia cautelare e' stata richiesta dal procuratore
aggiunto Giuseppe Pignatone e dai sostituti Antonino Di Matteo, Maurizio De Lucia, Domenico Gozzo e Michele Prestipino.
Mercadante, 59 anni, è originario di Prizzi, uno dei dieci comuni più alti della Sicilia, nell'entroterra
della provincia palermitana.
L'accusa fa riferimento anche all'indagine della
Squadra Mobile seguita alla cattura di Bernardo Provenzano e alla piu' recente operazione "Gotha" che ha recentemente
decapitato i vertici di Cosa Nostra a Palermo e rientra anche nell'ambito dell'inchiesta sui favoreggiatori appunto
dell'ex Primula Rossa, nato a Corleone e latitante in Sicilia per quarantatré inspiegabili anni.
A fare il suo nome il pentito Antonino Giuffre', che ha parlato di Mercadante come di
una persona "totalmente a disposizione" di Provenzano, medico di fiducia e suo consigliere, insieme al boss
di Prizzi Tommaso (Masino) Cannella, cugino del radiologo palermitano.
Mercadante sarebbe intervenuto "sulle Istituzioni e sulla Pubblica
Amministrazione" per conto dei boss, avrebbe costituito "un punto di riferimento" per la cura degli
interessi di Bernardo Provenzano nel periodo della sua latitanza, e stretto rapporti con altri capimafia quali
Tommaso Cannella, appunto, ma anche Antonino Cinà e Antonino Rotolo.
Avrebbe fornito inoltre "il proprio ausilio e la disponibilità della
struttura sanitaria della quale era socio per prestazioni sanitarie in favore degli associati, anche latitanti, e la
redazione di documentazione sanitaria di favore, ricevendo l'appoggio elettorale di Cosa nostra in occasione delle elezioni
regionali in cui era candidato".
Giovanni Mercadante già in passato era stato collegato al boss Provenzano: secondo gli inquirenti sarebbe stato suo, infatti,
il nome in codice cifrato che appare in una delle lettere ricevute dal capomafia corleonese durante la sua latitanza.
Ma l'ipotesi, priva di riscontri certi, in un primo tempo era stata archiviata.
La riapertura delle indagini sul docente palermitano ha portato in primo piano anche un altro elemento
legato più alla sua sfera privata, ma che avrebbe attinenza con l'accusa: una storia di tradimenti, protagonista
la moglie di Mercadante Agnese Saladino - nota dentista palermitana - e il suo amante, imparentato con un boss.
Mercadante - secondo le dichiarazioni rilasciate dal collaboratore di giustizia
Angelo Siino ai magistrati di Palermo - allo scopo di porre fine alla relazione avrebbe commissionato
l'uccisione dell'amante della Saladino al cugino Tommaso Cannella. E sarebbe stata proprio l'ex Primula Rossa Bernardo
Provenzano a intercedere per salvare la vita all'uomo.
Al momento in cui scriviamo Mercadante si trova ancora in stato di arresto, avendo il Tribunale del riesame di
Palermo rigettato la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa. Le motivazioni? In sintesi: "Perfetta sinergia e
solidi rapporti con boss".
Fin qui la notizia.
"Ateneo Palermitano" non è un quotidiano e non si occupa di cronaca in generale, tanto meno di cronaca nera
o giudiziaria.
Se Giovanni Mercadante non fosse stato un docente dell'Ateneo la notizia del suo arresto non avrebbe dunque occupato
alcuno spazio. Ma così non è, ed è quindi nostro dovere professionale darne notizia, come già abbiamo fatto
per i due docenti di Agraria indagati e al di là di possibili "reazioni" dell'Ateneo
nei confronti del direttore della testata, dipendente dell'Università di Palermo.
L'arresto di Mercadante ha scosso l'ambiente-bene palermitano, non solo quello accademico, anche se la notizia di un suo
probabile coinvolgimento con gli ambienti
mafiosi circolava da tempo per via appunto della sua parentela, per parte di madre, con il boss Cannella.
Avere un parente
mafioso di fatto non significa niente: può accadere, specie in Sicilia, e i parenti non sono come gli amici, non si
scelgono.
Mercadante peraltro avrebbe anche - secondo quanto da lui stesso
dichiarato - parenti magistrati (ma anche questo non significa niente, sempre in Sicilia).
Il punto è stabilire se e in che modo quella parentela "scomoda" abbia influito sul comportamento del docente
palermitano, cioè se effettivamente
i due - come dice Mercadante - non hanno mai avuto alcun contatto o se - come sostiene l'accusa - oltre che da vincoli di
parentela erano legati da affari, o comunque da rapporti, da "uomini d'onore".
L'indagine farà il suo corso. A noi
non resta che sperare in una soluzione senza ombre per un brutto fatto di cronaca che certamente non giova all'immagine
dell'Università di Palermo; non resta che sperare in una giustizia né lassista né forcaiola: le forche non giovano
alla verità e gli eccessi di garantismo insinuano sospetti di connivenza.
La vera giustizia non ha bisogno di aggettivi.
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