Questo che avete davanti è il numero di aprile: per la prima volta in sei anni, "Ateneo Palermitano" esce in ritardo.
Una scelta mia (obbligata) e motivata da responsabilità non mie e da cui prendo opportunamente le distanze.
C'è un procedimento disciplinare aperto nei miei confronti, avviato dall'Università di Palermo, come sapete.
Per poterne parlare occorre che si chiuda: o con l'emanazione di un provvedimento, oppure per scadenza dei termini:
centoventi giorni dalla data di contestazione degli addebiti.
A distanza di 63 giorni dalla contestazione (8 marzo), 37 dall'audizione (3
aprile) e 21 dalla convocazione-bis (19 aprile) non è ancora pervenuta
al mio domicilio alcuna "sentenza".
La lampadina di un numero "interlocutorio" mi si è accesa il 3 maggio, giornata internazionale della libertà
di stampa (indovinate perché).
Sarà un po' bislacco, mi sono detta, un giornale senza articoli, fatto di undici stravaganti
immagini, chiuso con una poesia, e che al momento giusto dovrà lasciare il posto al "titolare" per trasformarsi in una sorta di supplemento
(ricordate la legge del nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma del chimico Lavoisier?).
Vabbè, pazienza. Consideratelo una forma di protesta semipassiva nei confronti
di una burocrazia lumaca, il mio modo di stigmatizzare l'immobilismo siculo di
gattopardiana memoria, quello che leggermente rivisitato dice: se non so che
fare non faccio niente, così è sicuro che non sbaglio (sicuro che è sicuro?).
Comunque, il giornale è mio (quanto mi piace affondare il coltello in certe piaghe) e faccio quello che voglio.
Tanto lo so che voi siete d'accordo (magari non tutti, solo quelli che contano).
Ergo, aspettiamo Godot.
O, più realisticamente, che si completi il tempo della burocrazia.
Post Scriptum: Metto in linea oggi, 9 maggio.
Una carica di tritolo sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani imbavagliò
la satira di un giornalista libero, Peppino Impastato. O almeno, ci provò.
Era il 9 maggio del 1978.
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