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Il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca - Organismo di nomina governativa presieduto dal professor
Franco Cuccurullo, che esamina quantità e qualità della ricerca
accademica nazionale - ha relegato agli ultimi posti
delle graduatorie di merito gli Atenei di Catania, Messina e Palermo.
Assente dalla classifica - che riguarda il triennio 2001-2003 - l'Università "Kore" di Enna, istituita con decreto
ministeriale nel maggio del 2005.
I risultati dell'indagine, ricavati da un attento esame dei "prodotti" - cioè dei lavori inviati da ciascun Ateneo
italiano - sono stati
classificati per ambiti scientifici e non per singole Facoltà, e valutati dai cosiddetti "Panel", ovvero
dai "Comitati di area", gruppi di esperti indipendenti (esterni cioè rispetto agli Organismi committenti), diversi per ogni
settore di
specializzazione, di elevata e comprovata professionalità.
Le graduatorie sono distinte per dimensione delle strutture (intesa però
non in senso generale, ma in relazione al numero di lavori presentati in ciascuna area e quindi variabile di volta
in volta):
mega (oltre 74 "prodotti" presentati), grande (più di 24), media (da 10 a 24), piccola (massimo 9).
Cinque i giudizi a disposizione - eccellente, buono, accettabile, limitato, non valutabile - espressi a seguito di analisi
di "qualità, rilevanza, originalità e innovazione, fattibilità".
L'elenco dei Panel, con nomi e sedi di provenienza dei presidenti, è consultabile in altro spazio del giornale.
Qui però è il caso di fare alcune osservazioni.
A giudicare dalle località in cui si trovano le strutture (quasi sempre Università) che hanno fornito i presidenti dei Panel
deputati a valutare
i lavori di ricerca - in nessun caso prevenienti dalla Sicilia - parrebbe che l'alta specializzazione si fermi a Bari.
Sbaglieremmo naturalmente a liquidare l'argomento in questo modo - bisognerebbe prima analizzarne attentamente
tutte le motivazioni -
ma un dato del genere, comunque, dovrebbe indurre a riflettere: potrebbe essere indizio, se non di mancanza di cervelli,
da un lato di una insufficiente attenzione per il professionismo di certe aree del Paese, dall'altro di una
indolente e colpevole pigrizia culturale che
non spinge i professionisti siciliani, per esempio (quelli veri però, con tanto di produzione scientifica da esibire),
ad autopromuoversi.
Forse occorrerebbe un po' di coraggio in più, un po' più fiducia nelle proprie capacità: una questione di "educazione"
alla cultura
alla quale la gente del Sud per tradizione non è stata abituata e la cui mancanza ha consentito il radicarsi di
quell'atavico complesso
di inferiorità di derivazione "geografico-territoriale" che ne mortifica le
potenzialità, le quali trovano, al contrario, ampia possibilità di esprimersi nell'"altra Italia", prova ne sono i tanti
"emigrati di lusso" presenti in ogni settore della vita produttiva del Nord del Paese.
Da uno sguardo appena più approfondito alle tabelle valutative prodotte dal Civr appare subito evidente la situazione
siciliana.
Nonostante i raggruppamenti siano disomogenei proprio per la metodologia utilizzata per l'indagine - che ha tenuto in
considerazione, come già detto, il numero dei lavori presentati nelle diverse aree specialistiche - e nonostante non ci fosse stato
l'obbligo di presentare "prodotti" per ogni area e ciò ha naturalmente dato origine a classifiche di volta in volta
più o meno corpose, la posizione dei tre Atenei siciliani non si è mai discostata dalle zone basse.
E poco importa che Messina e Palermo, per esempio, per le Scienze agrarie e veterinarie, occupino nella stessa classifica
delle medie strutture rispettivamente il
settimo e l'ottavo posto: perché l'illusione di essere in una posizione tutto sommato rispettabile
svanisce immediatamente, nel momento in cui ci si accorge di essere già arrivati al fondo della classifica, che per quel
raggruppamento arriva proprio all'ottava posizione.
Non a caso abbiamo citato quest'area scientifica evidenziando nel settore agrario le posizioni
davvero poco invidiabili dei due Atenei siciliani, come non a caso potremmo sottolineare la latitanza di Palermo nella
Ranking List dell'area della valorizzazione dei Beni culturali: due esempi di una realtà davvero sconcertante
se si pensa da un lato che proprio l'agricoltura è uno dei capisaldi dell'economia siciliana e, dall'altro, che l'Isola
ospita nel suo
territorio - stante ai dati ancora in itinere raccolti in ambito nazionale - un terzo del patrimonio mondiale, pari a circa
la metà dei beni architettonici presenti in Italia.
Un'indifferenza - quella accademica - che diventa, anche alla luce di semplici considerazioni come queste, davvero
incomprensibile.
Non è dunque il caso, ora che il rapporto Civr ha scosso il mondo accademico regionale, di arrampicarsi
(per la verità anche in modo abbastanza sibillino) sugli specchi,
come ha fatto con dichiarazioni ufficiali il rettore dell'Ateneo palermitano Giuseppe Silvestri
per giustificare i demeriti. Non foss'altro che per una ragione di decoro... intellettuale.
"Non mi sembra che ci siano spostamenti
drammatici - aveva detto Silvestri - una cosa è fare parte di una graduatoria con punteggi che vanno da uno a dieci,
un'altra è stare in fondo a una classifica con decimali di differenza, esattamente quello che è accaduto".
Sarebbe il caso di sorridere, ripensando alla vecchia barzelletta del corridore che su due partecipanti alla
gara era contento di essere arrivato secondo. Se non fossero, queste classifiche, implacabile specchio dei malesseri
accademici siciliani.
Quando in una graduatoria di merito si arriva all'ultimo posto, quando si arriva agli ultimi posti
costantemente in più graduatorie di merito, poco importa la metodologia utilizzata per la predisposizione
delle classifiche, e criticarla non serve a niente: gli errori bisogna cercarli altrove.
E poi occorre anche saper incassare.
Incassare con classe non significa correre subito alla ricerca
della giustificazione, che a volte, invece di alleviare il danno, lo aggrava, e rende persino ridicoli.
Ci riferiamo alle dichiarazioni a caldo del preside vicario della Facoltà di Medicina di Palermo
Giacomo De Leo, accorso in soccorso del rettore (e scusate il bisticcio). "Si sapeva - aveva detto De Leo - che questa
del Civr era una ricerca sperimentale, una
specie di prova generale. Per cui i vari Dipartimenti hanno mandato i "prodotti" magari facendo poca
attenzione a scegliere solo quelli al top".
Prova generale? Il Civr ha coinvolto tutti gli Atenei nazionali attraverso un Bando di partecipazione
avente tutti i crismi dell'ufficialità, data di scadenza compresa: 30 giugno 2004.
E quando ha ritenuto opportuno, per la sola trasmissione dei dati relativi ai "prodotti", prorogare la scadenza,
spostandola di tre mesi - al 30 settembre - ha diramato la notizia a tutti i rettori accademici
italiani mediante formale comunicazione scritta.
Dispiace che gli Atenei siciliani si facciano trovare impreparati da opportunità come quella
offerta dall'indagine: un'opportunità per poter dimostrare (ma evidentemente così non è) che almeno nel
settore della ricerca la Sicilia comincia a essere in controtendenza rispetto a certi stereotipi ai quali
per troppo tempo si è stati abituati.
Indispone sapere che, se è vero quanto affermato da De Leo, i "prodotti" migliori rimangano chiusi nei
cassetti e che vengano "esportati" per una comparazione nazionale sono i peggiori, quelli "meno al top".
Pessima politica di marketing, ottimo sistema per assicurarsi gli ultimi posti in classifica.
Scelta consapevole di chi più che a fare è abituato a piagnucolare.
"Le Università del Nord hanno più mezzi e uomini a disposizione - aveva detto De Leo - qui non ci sono
neanche tecnici di laboratorio".
Non ci sono, è vero, non è una novità, come non è una novità, da parte dei vertici accademici, sottolinearlo
quando è comodo farlo.
Ma non ci sono perché l'autonomia in terra accademica siciliana è intesa come libero arbitrio
utile a pilotare gli interessi di pochi; non come opportunità giuridica di dar vita a strutture di qualità -
con mezzi e uomini di qualità, cioè - di cui poter disporre.
E anche quello che c'è - in quest'ottica - appare "di facciata".
Un esempio? L'incubatore d'impresa palermitano.
Seicentomila euro di struttura inaugurata alla fine dello scorso anno e il cui accesso "è riservato
ad iniziative imprenditoriali che valorizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione".
Una specie di Ferrari (almeno per le sue potenzialità) realizzata per la corsa delle macchinine dei bambini
dell'asilo.
Niente da dire sull'importanza delle "tecnologie dell’informazione e della comunicazione" - ci mancherebbe -
ma un incubatore d'impresa in altri Atenei viene pensato e realizzato con ben altre prospettive.
Ancora esempi, per capirci: l'incubatore del Politecnico di Milano e quello del Politecnico di Torino.
Il primo finalizzato allo "sviluppo di imprese tecnologicamente innovative", e in senso generale e senza "paletti";
il secondo indirizzato al "trasferimento di tecnologie dai centri di ricerca verso il mercato", alla formazione di
una "cultura imprenditoriale", a "portare al successo le idee più innovative" e ad "attrarre sul territorio iniziative
ad alto valore tecnologico e ad alto potenziale economico".
Quando gli scopi sono questi, vuol dire che si sta parlando di iniziative che hanno a che fare con l'industria -
per esempio meccanica, chimica, aeronautica (che all'Università di Palermo un tempo era settore quotato a livello
internazionale e che oggi si limita alle simulazioni al computer stile play station, come quelle relative al
tunnel del vento e per le quali vi rimandiamo all'editoriale di novembre del 2003, linkabile
in alto a destra di questa pagina);
si sta parlando di tecnologie che - con tutto il rispetto - molto poco hanno a che fare con quelle
"dell’informazione e della comunicazione".
Non deve stupire allora la penultima posizione dell'Università di Palermo nella classifica delle "grandi strutture"
dell'area dell'Ingegneria industriale, dove sono finiti
gli Atenei che hanno presentato in questo settore specialistico dai 25 ai 74 "prodotti".
I "prodotti" di qualità nell'ambito ingegneristico-industriale, quelli che fanno balzare ai primi posti in classifica,
sono i brevetti, quelli, per intenderci, analizzati dal Civr anche in relazione alle ricadute socio-economiche che
potrebbero avere.
Quali "prodotti" ha inviato l'Università di Palermo in questo settore?
Non lo sappiamo (con una buona "informazione e comunicazione" da parte dell'Ateneo, tanto per restare in tema,
lo avremmo potuto sapere, e non solo noi come stampa, ma tutti coloro che operano all'interno delle sue strutture
e che in qualche modo hanno diritto di conoscere per che cosa è stata giudicata la qualità dell'Ateneo
dove nei diversi ruoli prestano servizio).
Ma sicuramente nessuno dei "prodotti" inviati ha avuto la forza di imporsi su quelli, di ben altra qualità,
presentati da chi in quell'area ha occupato i primi posti in classifica.
Insomma, occorre che gli Atenei siciliani facciano presto. Che lavorino davvero, e che lavorino in fretta: per
non perdere anche l'altro appuntamento col Civr, quello del triennio in corso. |
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