diretto da Francesca Patanè

dicembre 2005 numero 48

Dammene un altro, per favore

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di Francesca Patanè

C'è tempo per la signora Borsellino, che dalla sinistra siciliana è stata eletta candidato premier alle prossime elezioni regionali e che per vincere ha chiamato a raccolta pure gli studenti dell'Ateneo, sicura che alla sorella di Paolo non avrebbero detto di no.
O per l'altro candidato dello stesso colore, quel Ferdinando Latteri rettore dell'Università di Catania che, come la maggior parte dei notabili accademici siciliani, predica bene e razzola male.

E il nuovo anno accademico palermitano, aperto in coincidenza con le celebrazioni per il bicentenario della nascita dell'Ateneo può ben occupare altro spazio del giornale.

Oggi è di te che io voglio parlare.
Perché te ne sei andato così, all'improvviso, perché siamo in Sicilia, e perché in Sicilia di malasanità ancora si muore.

Lo so, anche di malauniversità si muore (qui è tutto "mala" manco fossimo a Napoli).
Però la morte psicologica nell'ipocrisia imperante almeno non si vede, si può fingere che non c'è.

Tu invece sei morto davvero. Anzi, mentre ti scrivo sei disteso lì, all'obitorio di quell'ospedale dove, per capire che ti hanno fatto, devono prima aprirti e rivoltarti e forse allora sapranno dov'è che la tua vita è andata storta.
Non ti faranno bene, no. Io le ho viste le autopsie, ai tempi lontani della nera. Allora fumavano, mentre tagliavano e infilavano l'ago da maglia per seguire il viaggio del proiettile; ridevano e fumavano, approfittando delle finestre aperte nel tentativo, inutile, di scacciare quell'orribile odore che a distanza di tempo sempre rimane, sotto il naso.
Ora forse non fumeranno più...Questo, almeno, è cambiato. Rideranno? Non è certo: bisogna saperle raccontare le barzellette, per poter far ridere.

A me, sai?, non interessa se sei morto per la miscela di farmaci che ti hanno rifilato quando, per non rovinarti le feste, hai deciso di affidare a loro prima di Natale la tua ernia al disco; oppure perché una strana allergia ti ha fatto all'improvviso entrare in coma.

Che mi importa perché sei morto? Non ci sei più, è questo che m'importa, non ci sarai più mai.
Per gli studenti che venivano a trovarti al bar con la scusa del caffè; per gli amici di Lettere con cui ridevi e tifavi rosanero; non ci sarai più nemmeno per le ragazze, che ti chiedevano da bere e che tu consideravi irraggiungibili perché eri grasso, allora, e nessuna ti filava.
Io però te lo dicevo: vedrai, basta una dieta...

E poi l'hai fatta, la dieta. E con la dieta è arrivato l'amore e pure un bancone più blasonato da cui i tuoi caffè avevano sempre un sapore speciale.

Sai una cosa? Eri bello, eri così bello che quando dopo anni ti ho incontrato non ti ho riconosciuto.
Te l'ho detto, ricordi? E tu lì a snocciolarmi in pochi secondi la tua nuova vita, sai?, ho persino moglie, adesso, e un figlio in arrivo...

Fra due mesi, nascerà tuo figlio. Chissà se lo chiameranno come te, se avrà i tuoi stessi capelli rossi, le tue lentiggini.

So che non importa a nessuno che ti sto scrivendo e tu non illuderti, mica ti ho promesso la luna: qui hanno tutti sempre altro a cui pensare. Ma - quante volte te l'avrò detto - io scrivo per me, prima di tutto.

Ricordi quanti maxiconi mi hai dato alla pausa caffè delle 11? E tu ridevi - ridevi sempre tu - e mi prendevi in giro, tenendomi il conto dei grammi in più che via via assommavo, ogni mattina.
E' da tanto ormai che non mangio più maxiconi alle 11, ogni mattina. Tutto ha un tempo e non è più questo il tempo.
Ma stavolta voglio fare un'eccezione.

Perciò, Franco, dammene ancora un altro, per favore.


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