Per non farvi soffrire ve lo dico subito: d. M. sta per dopo Moratti.
Che poi non è neanche tanto giusto, perché il ministro Moratti c'è ancora, eccome.
Solo che non riuscivo a trovare un titolo migliore per questo editoriale sulle reazioni del dopo-riforma
e così mi sono affidata a Cristo... riveduto e corretto.
Dicevo, le reazioni. Certo non potevano essere rose e fiori, nessuno se li aspettava.
La legge Moratti ha ricevuto più critiche che consensi e anche questo però era nell'ordine naturale delle cose, se è vero
quello che
ha scritto il 30 settembre Marco Belpoliti sulla Stampa: "L'Italia è una repubblica fondata sulle corporazioni e
tutti difendono quelli che con un'espressione-mostro si chiamano 'diritti acquisiti'... Una delle regole classiche delle
corporazioni è di opporsi sempre, resistere, fare muro".
E infatti - dico insieme a Roberto Perotti (Il Sole 24Ore del 29 settembre) - "il disegno di legge (oggi legge, n.d.r.) è
lungi dall'essere
perfetto, ma la reazione negativa quasi unanime dell'establishment universitario dovrebbe far riflettere su cosa
esattamente essa tenti di difendere....".
Il braccio di ferro tra sostenitori e oppositori - c'è da giurarci - continuerà ancora: anche i tentativi di
strumentalizzazione
politica rientrano infatti nell'ordine naturale delle cose (italiane).
Perciò è opportuno scendere in dettaglio e capire meglio chi sostiene e chi si oppone.
La maggioranza di governo solidalmente ha elogiato i contenuti del provvedimento, il mondo universitario e i sindacati
compatti si sono
schierati contro.
Sui sindacati stendiamo un velo pietoso perché non è neanche il caso di perdere tempo a spiegare ai sindacalisti di oggi
che cosa si
intende per sindacato e che difendere i diritti dei lavoratori non significa combattere per mantenerne i privilegi.
Il mondo universitario. Mica tutto, beninteso. Di questo mondo nel mio piccolo faccio parte pure io, per esempio, e io sono
a favore
della riforma e lo dico chiaro anche a rischio di essere schedata (ma vi assicuro, io faccio parte di quella
sparuta razza di giornalisti che crede ancora in un mestiere "super partes" lontano dalle logiche di qualunque partito
politico).
Io, dunque, pur riconoscendone i limiti (niente è perfetto subito) e anche se non ne sono direttamente coinvolta, voto a
favore della legge
Moratti. E sapete perché?
Perché al posto loro (docenti e simili) mi vergognerei del contrario.
Se fossi un cattedratico, per esempio, specie se di chiara fama e di noto rigore morale, mi vergognerei di non approvare
che i concorsi
per il reclutamento dei docenti universitari, finora banditi a livello locale, tornino a diventare nazionali:
significherebbe ammettere automaticamente di avere "clienti" da appoggiare e
una paura boia di non poterlo fare più.
Se fossi uno studioso realmente impegnato mi vergognerei di oppormi alla possibilità di chiamate dirette sulla base della
produzione scientifica:
significherebbe ammettere la mia insicurezza professionale e una paura boia di mettermi in gioco, di confrontarmi e di
perdere.
E anche di non avere alcuna produzione da produrre.
Se fossi un ricercatore serio mi vergognerei, caso mai, del mortificante assistenzialismo di cui finora ho goduto, sarei
felice di poter
dimostrare finalmente quanto valgo e non mi preoccuperei del giudizio, rigoroso e selettivo, di idoneità nazionale.
E se fossi invece uno studente? Lo sono stata, in passato, c'ero ai tempi della contestazione (quella vera),
ma non ho mai
accettato - e non lo farei neppure adesso - di essere strumentalizzata per giochi di potere che non mi appartengono e
che anzi,
al contrario, mi danneggiano. Smisi di scendere in piazza con le femministe, per esempio, quando capii che la lotta civile
per
la parità stava per deteriorarsi in guerriglia partitica.
E a proposito di piazza. Questa cosa degli studenti che scendono in piazza appoggiando un'Università a gestione
clientelare, non fondata
sulla meritocrazia e su una stimolante concorrenza, garante di pochi e dannosa per tutti gli altri (loro in prima fila)
non la capisco
proprio e anzi mi sa di patologico.
Perché il masochismo a qualcuno e in certe occasioni può pure fare bene allo spirito, ma questo tipo di masochismo,
specie alla luce di argomenti come costi e benefici, fa male, tanto male. E se fosse solo il portafoglio dei genitori,
costretti
a pagare la mediocrità, a risentirne sarebbe ancora quasi una fortuna. Ma tornate tra qualche anno e vedrete quanta strada
avranno
fatto intanto quegli studenti che su quella mediocrità hanno fondato tutta la loro vita professionale futura. Ma no,
non c'è bisogno
di tornare, sono anni che si vede già.
A portare alta la bandiera degli oppositori alla legge Moratti c'è prima di tutto la Crui, la Conferenza dei rettori
delle Università
italiane. Che è partita all'attacco con una proposta organica (loro almeno una proposta la stanno elaborando), da
presentare al prossimo
Parlamento, che "fondi le sue radici in una rafforzata autonomia responsabile degli Atenei, introduca un modello europeo
di valutazione
delle attività universitarie che porti a premiare il merito e offra ai giovani che vogliono dedicarsi alla ricerca
prospettive concrete
per un rapido inserimento".
"Obiettivi sacrosanti e pienamente condivisibili - scrive sull'argomento Antonio Contestabile, professore di Neurobiologia
all'Università
di Bologna - ma perché fino ad ora abbiamo fatto quasi l'esatto contrario?".
L'esame di coscienza è d'obbligo, oltre che a volte sollecitato - come in questo caso - dall'interno.
E affonda, Contestabile, e parla male della legge Moratti, ma parla ancora peggio della sconfitta degli oppositori.
La battaglia poteva essere vinta - egli dice - solo "apparendo credibili e affidabili, e come si può essere credibili nel
denunciare il rischio del precariato quando i nostri Dipartimenti pullulano di
precari?".
Alle proteste della Crui hanno fatto eco quelle dell'Andu, l'Associazione nazionale dei docenti universitari.
Per l'Andu c'è da registrare la dichiarazione del palermitano Nunzio Miraglia: "Il ministro Moratti si è intestato un
provvedimento di legge
... per dirottare le risorse pubbliche negli autoproclamati centri di eccellenza".
Sacrosanta, comunque, questa preoccupazione da parte di un docente dell'Università di Palermo.
Certo tutto si potrà dire a chi si oppone alla nuova legge e non che sia a favore di una Università fondata sull'esempio
di quelle
statunitensi.
"A differenza dell'Italia - scrive Paolo Guerrieri sul Messaggero del 27 ottobre - concorrenza e autonomia sono praticate
ed esaltate
negli Stati Uniti a tutti i livelli: tra le Università, nell'attirare gli studenti; tra i docenti, nelle carriere e nelle
pubblicazioni
scientifiche; tra gli studenti, nei percorsi formativi e nell'accesso alle borse di studio. E' un sistema che spinge a
distribuire le
risorse finanziarie e umane disponibili in base a criteri meritocratici e competitivi, vincolandoli a meccanismi di
valutazione rigorosi
e oggettivi, garantiti da una forte indipendenza dei giudizi. I risultati e le performance di questo sistema sono da anni
valutati come
davvero eccellenti in base ai migliori standard internazionali".
Ma al di là dei possibili modelli da imitare, quando si parla di riforma universitaria pare che qualsiasi proposta non
vada mai bene.
Scrive Ernesto Galli Della Loggia sul Riformista del 29 settembre: "Non ricordo negli ultimi trent'anni un solo progetto
ministeriale di maggiore o minore riforma per l'Università che non abbia suscitato la "rivolta" della medesima... Come
è possibile,
mi chiedo, che nulla andasse mai bene, che tutti i ministri fossero incapaci, tutti i provvedimenti sbagliati?".
Non sarà stata anche questa sorta di "partito preso", aggiungo io, a indurre il presidente della Repubblica Carlo
Azelio Ciampi a
controfirmare
il DDL Moratti lo scorso 4 novembre, consentendone la pubblicazione il giorno successivo sulla Gazzetta Ufficiale e
l'entrata in vigore
il 20 novembre, appena qualche giorno fa?
Evidentemente i rilievi di incostituzionalità avanzati da più parti, compresa la Commissione Affari Costituzionali della
Camera, non
sono stati ritenuti sufficienti da Ciampi, che ha bocciato la richiesta di non procedere alla promulgazione avanzata
con un appello promosso dal Coordinamento nazionale delle Conferenze dei presidi di Facoltà.
Eppure, nonostante la sconfitta degli "avversari", la promulgazione e l'entrata in vigore al di sopra di tutto,
personalmente
(e pessimisticamente) mi sento di condividere - giusto per chiudere con l'ennesima citazione - quanto quasi un anno fa,
il
9 dicembre del 2004, ha scritto sulla Voce Roberto Perotti: "Il disegno di legge Moratti (oggi legge, n.d.r.)... fallirà nel suo
tentativo di riformare l'Università italiana; ma non, come sostengono la maggior parte dei suoi critici, per aver
cambiato troppo,
bensì per non aver osato abbastanza".
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