luglio-agosto 2005 numero 43-44

attualità
Terzo brevetto per il motore Pomar, a un passo dal primo "rumoroso vagito"
Ancora un'intervista in esclusiva all'inventore che sta per rivoluzionare il settore motoristico mondiale e che ci ha aggiornato sulle ultime novità

di  Francesca Patanè

nella foto: L'ingegnere Eliodoro Pomar negli anni Sessanta

Pubblichiamo in versione ridotta l'intervista che l'ingegnere Eliodoro Pomar ci ha rilasciato per aggiornarci sul suo motore rotativo, l'invenzione di cui ci siamo occupati lo scorso novembre. Il testo integrale dell'intervista si trova nel sito dell'ingegnere.

- Ingegnere Pomar, pare che la nostra intervista di qualche tempo fa abbia portato bene al suo motore…

- Sì, dopo la pubblicazione dell'intervista c'è stato un certo fermento intorno alla mia invenzione e questo, naturalmente, mi ha fatto molto piacere.

- Anche la Rai avrebbe parlato del motore Pomar, applicato, nello specifico, su un kart: lei ritiene che questa applicazione possa essere un buon punto di partenza per verificare il rendimento su prototipo?

- Sì, sembra che qualcuno abbia visto in una trasmissione Rai un kart che utilizzava come propulsore un motore costruito secondo uno dei miei brevetti. Ma per sperimentare le qualità di un motore di nuova concezione, tuttavia, le procedure da seguire sono molto più complesse e seguono una serie articolata di passaggi obbligati. Senza una sperimentazione al banco di prova, infatti, non è possibile poter giudicare seriamente delle qualità e dei difetti di qualsiasi meccanismo che ambisca ad ostentare in un futuro più o meno lontano la qualifica di “motore”.

- Kart, ma anche ultraleggeri… Ingegnere, può un aereo volare col motore Pomar?

- Il motore a combustione interna non è che uno dei meccanismi che la mia invenzione consente di realizzare. Come ho spiegato sia nel testo del brevetto, sia nelle varie memorie che ho redatto in proposito, quello da me proposto descrive un meccanismo del tutto generale che serve a convertire in lavoro meccanico le variazioni di pressione di un fluido, oppure consente di variare la pressione di un fluido, utilizzando un lavoro meccanico fornito da un motore mosso da una fonte di energia esterna. Questo meccanismo può essere impiegato quindi sia nella funzione di motore che utilizza fluidi già compressi (come per esempio aria), sia in quella di compressore di gas si vario tipo, sia infine per pompare fluidi incompressibili come ad esempio l’acqua.
L’oggetto di questo brevetto è pertanto un meccanismo capace di sostituire con vantaggio, in ogni sua applicazione, l’insieme cilindro-pistoni, biella e manovella attualmente utilizzato in numerosissime applicazioni della tecnica corrente.
Pertanto, per tornare alla sua domanda, anche un aereo può volare col motore Pomar: io lo spero e in linea di principio ciò è perfettamente possibile.

- Ci dice allora esattamente a quali usi potrebbe essere destinato il suo motore?

- La risposta a questa domanda è implicita nella risposta precedente: l’insieme dei vantaggi offerti da questo meccanismo in confronto al meccanismo che impiega pistoni in moto alterno - ed in particolar modo la sua essenziale semplicità funzionale che comporta una finora sconosciuta semplicità costruttiva - ne rende estremamente conveniente l’impiego sotto tutti i riguardi. Diciamo pure del resto che, per quanto attiene all’aspetto funzionale, il meccanismo a pistoni alternativi è da considerarsi a ben guardare un grottesco non senso.

- La potenza insieme alle ridotte dimensioni, ma anche altre caratteristiche che lei potrà dirci, può portare la sua invenzione verso un uso diverso da quello indirizzato ai mezzi di trasporto?

- Il meccanismo di mia invenzione può essere impiegato sia, come già detto, nella funzione di motore che utilizza fluidi già compressi (come per esempio aria), sia per pompare fluidi incompressibili, come ad esempio l’acqua, sia, infine, nella funzione di compressore di gas di vario tipo. In questa terza funzione potrebbe essere applicato con grande profitto anche nel campo dell'industria del freddo.

- E’ vero che il suo motore è stato osservato su più fronti diversi e con risultati sempre positivi?

- E’ vero che il meccanismo da me proposto ha suscitato vivo interesse e sorpresa in tutti i tecnici che lo hanno esaminato e che finora non sono state sollevate critiche essenziali nei suoi riguardi. La redazione, già in corso, dei disegni costruttivi e le prove sul prototipo che quanto prima possibile verrà realizzato, diranno il resto.

- Come avverrà il passaggio dalla sperimentazione alla produzione e immissione sul mercato? C’è un momento intermedio che lo segnerà, e se sì, quale?

- Il passaggio in questione è ancora di là da venire e anticipare questa fase attualmente è prematuro.
Certo il momento più importante, almeno per me, sarà quello nel quale il primo esemplare posto sul banco prova emetterà il suo primo rumoroso vagito.

- L’interesse delle Università verso il suo motore, che abbiamo auspicato nella precedente intervista, c’è stato, ci pare. Ce ne parla, in dettaglio?

- Sì, c’è stato un certo interesse anche nel campo accademico in quanto uno studente dell’Università di Firenze, dopo aver letto l’intervista, ha scelto il mio motore per farci una tesina per il suo corso di studi. Che io sappia, non ci sono state considerazioni negative sul meccanismo proposto.
Quanto allo studente, il suo innegabile coraggio e la sua encomiabile curiosità tecnico-scientifica sono stati premiati con un bel trenta sul libretto universitario.

- Intanto lei continua a sfornare idee e a incassare brevetti… Adesso sono tre. Ci aggiorna?

- Tre brevetti riguardano il motore rotativo, ma i miei brevetti sono molti di più, tuttavia non c’è molto da dire. Con questo terzo brevetto ho voluto mettere una specie di punto finale alla mia lunga ricerca sui motori rotativi, “a futura memoria”.
Ho voluto proporre pubblicamente, insomma, una soluzione che lungamente inseguita da altri oltre che da me, per quanto mi riguarda, data la mia non più tenera età, costituisce un punto di arrivo, sia per la sua non ulteriormente migliorabile semplicità, sia perché ritengo di aver risolto, almeno sulla carta, tutte le difficoltà che i precedenti brevetti avevano solo parzialmente superato.

- Il ministro Moratti, a proposito di competitività, ha detto che per potenziare la ricerca scientifica e tecnologica è necessario studiare formule innovative e ha detto pure che "occorre creare le condizioni migliori per favorire investimenti, soprattutto nel settore privato". In base alla sua esperienza di ricercatore "privato", quanto peso ritiene stiano dando le Istituzioni accademiche alle indicazioni del ministro? E che limiti ha, secondo lei, la ricerca scientifica italiana di iniziativa privata?

- Questa domanda richiderebbe da sola una lunga intervista molto articolata. Proverò a rispondere cercando di riassumere una questione di per sé assai complessa.
La prima osservazione che occorre fare è questa: la ricerca non presenta gli stessi problemi in tutti i settori nei quali essa è destinata ad operare.
La seconda osservazione: nella società dei consumi nella quale attualmente viviamo ci sono settori nei quali gli sviluppi economici sono immediatamente collegati agli sviluppi tecnici e settori nei quali tale collegamento è inesistente, oppure assai dilazionato nel tempo perché indiretto o mediato da altri fattori.
Per fare un esempio subito comprensibile, non ha la stessa ricaduta economica sulla nostra società spendere 1.000 euro nella ricerca che riguarda la fisica delle particelle elementari piuttosto che spenderli nella ricerca su un nuovo tipo di elettrodomestico che risolva un problema che interessa una grande massa di possibili utilizzatori.
Volendo influire urgentemente, come mi sembra il caso di fare, sull'andamento della bilancia commerciale dell'Italia, credo si debba aver chiaro il fatto che il processo di innovazione debba essere incoraggiato soprattutto nei settori che si occupano dell'applicazione tecnica delle scoperte scientifiche suscettibili di pronta applicazione, per realizzare nuovi prodotti di largo consumo. Ebbene, è proprio in questo tipo di processo che esistono le difficoltà maggiori di innovazione.

- Sembra paradossale...

- Paradossale, ma motivato. Nel campo della ricerca scientifica possono infatti verificarsi due casi: quello in cui l'applicazione delle scoperte è immediata e quello in cui può essere necessaria una o più o meno lunga fase di ricerca e sperimentazione per determinare le condizioni minime per il successo della nuova applicazione. Questo secondo caso è senza dubbio il più interessante e mette al riparo dall'immediata concorrenza per imitazione, ma comporta sforzi economici maggiori spesso condotti "al buio", ovvero senza garanzia di riuscita.
L'innovazione, infatti, se merita veramente questo nome, è tutta un rischio e l'impresa italiana piccola e media che, come le statistiche ci dicono, conta in media meno di cinque dipendenti non è attrezzata per la progettazione e deve rivolgersi all'esterno già dalla fase iniziale, che è, in fondo, la più incerta nei risultati, per cui in questo senso fare innovazione equivale a un vero atto di fede.

- Mi pare di capire che lei non sia molto favorevole alla ricerca nell'ambito delle imprese...

- Credo che l'idea di affidare l'innovazione alle imprese costituisca in se stessa un grave errore. Nessuna grande innovazione in passato è stata fatta da un'impresa, bensì da individui particolarmente dotati. E per limitarci al campo dei motori, testimonianza dell'origine assolutamente personalizzata sono gli stessi nomi dei loro inventori, i signori Otto, Diesel, Sabathé, Wankel.

- Allora le imprese sono destinate a restare fuori dalle grandi innovazioni della scienza e della tecnica.

- Assolutamente no. Il compito che spetta all'impresa nel campo della ricerca è quello di perfezionare il proprio prodotto e anche questo è importante. Ma essa non può, e in un certo senso non deve, avventurarsi da sola in iniziative innovative di grande taglia, pena una situazione di rischio per la sua stessa sopravvivenza. L'impresa è vincolata alla logica del profitto e il rischio che essa può correre non può superare un certo limite. Pertanto il rischio del finanziamento della ricerca deve essere quindi assunto da enti svincolati da queste logiche e da questi limiti.

- Lei ha una ricetta per risolvere tutti questi problemi?

- Ho una proposta innovativa (ma non troppo) che forse potrebbe contribuire alla soluzione.
Intanto si dovrebbe studiare il modo di rendere il più economico possibile il costo complessivo necessario per ottenere un brevetto nazionale.
Il secondo passo dovrebbe essere quello di organizzare in seno all'Ufficio Brevetti nazionale un gruppo di tecnici con competenze interdisciplinari il cui compito dovrebbe limitarsi a un primo esame delle idee pervenute, onde classificarle in interessanti e non interessanti.
Le idee classificate come interessanti dovrebbero essere trasmesse per un esame di merito più approfondito a un organo tecnico di livello più elevato, che dovrebbe ammetterle ad usufruire di finanziamenti destinati a pagare le spese di un brevetto internazionale.
L'ultima fase è riservata a quelle invenzioni particolarmente meritevoli di interesse e bisognose dello sviluppo costruttivo sperimentale e dell'accertamento delle prestazioni e delle caratteristiche di impiego.

- E questa è la fase più difficile.

- Sì, ma ci sono diverse opzioni possibili.
La prima, più semplice, sarebbe quella di stabilire accordi tra lo Stato e le imprese dei vari settori per costruire e sperimentare i successivi prototipi ed effettuare le relative prove.
La seconda potrebbe essere quella di far eseguire le parti meccaniche e le prove negli stabilimenti militari delle diverse Forze Armate.
Una terza opzione sarebbe quella di istituire un Centro di ricerche dello Stato nel quale far affluire di volta in volta i tecnici necessari, spostandoli o dalle Università o da qualsiasi altro Ente e usando la formula dell'incarico temporaneo, in aggiunta a un limitato organico di tecnici permanenti in grado di utilizzare le strutture e le apparecchiature specialistiche di cui il Centro dovrebbe essere dotato.
A questo punto il brevetto esaminato e provato avrebbe tutte le condizioni per essere messo a disposizione delle industrie che si dichiarassero interessate alla sua utilizzazione e commercializzazione.
Lo Stato potrebbe negoziare con le ditte il prezzo della cessione dei diritti di produzione e l'inventore potrebbe essere remunerato dall'impresa con una parte degli utili ricavati dalla commercializzazione dell'invenzione.

- Dalla sua esposizione sembra tutto così facile. Come mai non si è ancora arrivati a soluzioni di questo tipo?

- Prima le ho detto che la mia era una proposta innovativa, ma non troppo. In realtà, a ben pensarci, di innovativo ha ben poco.
Fino a una certa epoca, infatti, esistevano già, in Italia, soluzioni di questo tipo. C'erano diverse strutture di ricerca articolate su vari livelli. Il primo era quello dei Centri di Ricerca statali come Guidonia o l'Istituto Motori di Napoli, specializzati in singoli campi di attività.
Al di sotto di questo livello c'erano le Università, i cui Istituti venivano incaricati dal Cnr, ed ancora a un livello inferiore c'erano le grandi industrie che, sorrette da finanziamenti statali ad hoc, si occupavano anche di ricerche di tipo sperimentale e tecnologico.
Dopo la guerra, ai tre livelli schematicamente indicati si aggiunse anche un livello comunitario, al quale l'Italia partecipava in modo essenziale.

- Che fine ha fatto questa così invidiabile organizzazione?

- Oggi queste strutture o non esistono più, oppure sono completamente o quasi completamente inattive. E a questo punto una domanda sorge spontanea: quali sono oggi i "privati" in grado di fare innovazione tecnica? Forse le imprese che ci sono rimaste, quelle di cui parlavamo prima, quelle, per intenderci, con non più di cinque dipendenti ciascuna?

- Insomma, ingegnere, ho toccato un tasto dolente chiedendogli un parere sui limiti della ricerca scientifica italiana di iniziativa privata. Lei però potrebbe essere una felice eccezione... La prima volta che ci siamo incontrati abbiamo parlato di progetti di prototipi che a quanto pare stanno cominciando via via a concretizzarsi; abbiamo parlato dei suoi due brevetti sui motori rotativi depositati in Europa e negli Stati Uniti, che adesso sono diventati tre. Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?

- Il futuro della mia attività di inventore? Non lo so e non me lo chiedo: solo il tarlo che mi ha roso fin dalla nascita potrebbe dirlo, se ne avesse voglia. A sei anni “inventai” - e tentai perfino di costruire! - una rudimentalissima turbina a vapore ad azione e rimasi terribilmente deluso quando appresi che un certo signor De Laval molti, ma molti anni prima, aveva avuto l’audacia di precedermi!
Per ora il mio tarlo tace e aspetta che il motore Pomar salga sul banco degli accusati in attesa di giudizio, nella speranza di uscirne assolto. Caro direttore, come dicono in Spagna, “nunca se sabe”!


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