Spesso capita, nella vita, di avere belle idee. Capita anche di trovare il modo di concretizzarle,
dando loro gli strumenti utili all'applicazione.
E allora perché molte belle idee falliscono?
L'autonomia data alle Università, per esempio.
E qui è il caso, per qualche amico che può fraintendermi, di precisare un assunto di base: io non
faccio discorsi "politici" perché penso ancora (come lo pensavo trent'anni fa, quando ho cominciato, e come penserò sempre)
che uno che fa il mio mestiere, a costo di restare solo, di essere giudicato scomodo, di rischiare la censura
di chi apprezza ancora certe veline (che con le veline di Striscia non c'entrano niente), non deve schierarsi da nessuna
parte (e poi con l'aria che tira oggi, dall'una e dall'altra parte, anche se mi sentissi libera di farlo, sarebbe veramente
idiota, da parte mia, schierarmi).
Perciò quando parlo di autonomia, quando dico che l'autonomia data alle Università, è una di quelle belle idee di cui
ho accennato all'inizio, non vuol dire che io sono "forzista" perché quell'idea è firmata Moratti:
se fosse stata siglata Fini o Bertinotti, altrettanto convinta della sua validità, io
avrei detto esattamente le stesse cose. Perché, al di sopra di tutto, sono i fatti che contano nella storia.
E chi parla di fatti, chi tenta di analizzarli, anche a rischio di prendere pubbliche cantonate,
anche a rischio di essere strumentalizzata da chi al primo posto nella sua scala di valori ha messo invece
gli inciuci partitico-sindacali, non può, e non deve, essere fraintesa.
Chiusa parentesi.
Parlavo di autonomia universitaria. E' una bella idea, su questo non ci sono dubbi.
Ma molte belle idee in ambito accademico al momento di essere applicate devono fare i conti
con numeri e percentuali, almeno in certi Atenei, dove un buon sessanta per cento dei risultati fallimentari
è addebitabile a incapacità e il rimanente 40 per cento alla malafede, o viceversa, a seconda dei casi.
L'incapacità è quella "sincera", motivata, cioè, da reale impreparazione, incondivisibile, ingiustificabile, inammissibile,
ma almeno onesta.
La malafede comincia la dove finisce l'incapacità.
Forse nell'esempio in questione il fallimento (ma nel caso dell'autonomia universitaria non può parlarsi
esattamente di fallimento, meglio dire la difficoltà di decollo e di assestamento) è poco addebitabile
alla malafede: il mancato appoggio almeno è stato trasparente, e anzi nelle sue forme di contestazione più estrema
ben visibile e persino a rischio di essere strumentalizzato. Più verisimilmente si è trattato e si tratta di
incapacità (l'ho già scritto, d'altra parte).
Ma il discorso in linea di principio non cambia.
Certi Atenei sono destinati al fallimento (loro, stavolta) se non azzerano queste percentuali.
All'incapacità e alla malafede si può mettere riparo, ma occorrono interventi radicali.
Altrimenti si chiude. Non esistono altre strade.
E d'altra parte è meglio un Ateneo chiuso per fallimento che un Ateneo
chiuso per decesso (morale) di tutti i responsabili.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
E per piacere, in questo caso, non fiori, ma opere di bene. Almeno per vedere come sono fatte.
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