Questione
di classe
In questo secondo numero di "Ateneo
Palermitano" ci occupiamo della riforma universitaria voluta dal provvedimento
ministeriale del 4 agosto 2000 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale a settembre), che
rivoluziona il percorso di studi accademici con l'istituzione delle cosiddette
"lauree brevi". Un'offerta formativa di grande importanza se si pensa che in
soli tre anni di studio si può essere messi nelle condizioni di entrare a pieno titolo
nel mondo produttivo. Beninteso, si può, perché chi invece ritiene più opportuno
proseguire la frequenza universitaria, potrà farlo con il biennio di laurea specialistica
che gli aprirà le porte - questo almeno lo spirito della legge - alla ricerca, e quindi
ai dottorati, e alle scuole di specializzazione.
I primi tre anni, dunque, dovrebbero servire per l'acquisizione di una conoscenza di base,
generale ma completa, delle materie del corso di studi prescelto; i successivi due per
l'approfondimento, di tipo appunto specialistico, indispensabile per chi non ritiene
primaria una immediata, per dirla come usava fino a pochi anni fa,
"sistemazione".
E così sembrerebbe tutto fin troppo semplice.
No problem, dunque? Aspettiamo prima di vedere che succede. Aspettiamo, cioè - e non per
fare gli uccelli del malaugurio, ma perché, come diceva mia nonna, fidarsi è bene, non
fidarsi meglio - che gli Atenei, dopo un primo naturale periodo di assestamento sui binari
voluti dalla riforma, effettivamente riescano ad applicare la nuova normativa, in perfetta
sintonia non solo con la lettera, ma anche con lo spirito della nuova legge. Riescano
cioè davvero a "produrre" dalle loro fucine culturali, nella prima fase nuova
forza lavorativa priva di complessi di inferiorità, e nella seconda fase "beautiful
minds" che, in questo presente/già futuro globalizzato e senza barriere, niente
avranno da invidiare ai loro colleghi stranieri.
Il rischio è che il "meno" non appreso nei tre anni di preparazione di base sia
di fatto quasi zero, e il "più" imparato negli anni successivi, sia "quel
poco" che non si era appreso precedentemente. E' una questione di saggezza e di
equilibrio. E'una questione di organizzazione, pianificazione, programmazione. Precise,
puntuali, quasi maniacali. E' una questione di controllo di gestione e di verifiche in
corso d'opera. E' una questione manageriale, in una parola. Ma è anche una questione di
rigore mentale, elasticità e intuito, miscelati coi criteri di efficienza e di efficacia
tanto battuti in ogni master aziendale degno di questo nome.
Molti Atenei ce la faranno. Su Bologna o Firenze, per esempio, forse anche su Lecce, si
può scommettere. E non perché loro siano più bravi o più belli di noi (caso mai
perché hanno più soldi, oppure sanno, meglio di noi, come e dove investirli), ma perché
sono più abituati ai cambiamenti, o comunque più ben disposti nei loro confronti. Quelli
sono Atenei che lavorano per progetti già da anni (noi siciliani stiamo movendo i primi
passi) e proprio per questo hanno una mentalità manageriale più esercitata.
E Palermo? Ce la farà, Palermo, ad avere una nuova Università, anzi, una Università
"nuova" e "felicissima"? Permettetemi in proposito di esprimere una
riserva.
Non che l'Ateneo palermitano non abbia al suo interno qualche isola felice (ma da
"felice" a "felicissima"" ce ne passa...), la consuetudine però,
purtroppo, è fatta dai più, non dai pochi. E l'Università di Palermo, non entrando nel
merito delle sue "epoche" di gestione politica, non è che finora abbia brillato
per spirito organizzativo e progettuale.
Prendiamo, per esempio, l'altra grande innovazione epocale, quella informatica. Una
rivoluzione che segnò la storia di tutte le amministrazioni statali, parastatali e
private, di ogni sportello aperto al pubblico, di ogni biblioteca, di ogni più piccolo e
insignificante monolocale uso ufficio senza cucina ma con pc.
Anche l'Università, per essere al passo coi tempi, dotò le sue strutture di attrezzature
informatiche, modernissime ed efficienti. Ma non tenne conto che prima di acquistare le
macchine sarebbe stato più opportuno, probabilmente, addestrare gli uomini, organizzare
(ecco, appunto organizzare) preventivamente corsi di formazione che avrebbero
successivamente messo in grado ciascun dipendente di operare. Così il caos regnò
sovrano. Nelle biblioteche, per esempio, ci fu chi si rifiutava di avvicinarsi al
"mostro", temendo per la sua incolumità (e producendo certificati medici di
inabilità agli arti superiori) e chi invece, colpito da improvvisa onniscienza e
onnipotenza, ritenne - novello Nazareno - di poter guidare il tortuoso cammino dei più,
ma secondo le sue regole, le sue personali convinzioni e interpretazioni...
Il resto sta nella cronaca dei quotidiani disservizi contro cui da allora (e quasi fino ad
oggi) ciascun utente (o cliente?) delle biblioteche universitarie palermitane, ma anche di
altre strutture accademiche, volente o nolente, ha dovuto combattere.
Non è detto che con la riforma dei corsi di studi accada la stessa cosa.
Probabilmente nel suo piccolo (ma non troppo), anche l'Università di Palermo avrà
l'occasione di colmare finalmente il cosiddetto gap.
Anzi l'occasione ora c'è sicuramente. Speriamo che non se la lascino scappare.
f. p. |