Bamboccioni (senza balocchi)
Rubrica: EditorialeDa qualche settimana la stampa italiana è tornata a occuparsi dei “bamboccioni”. Il termine, introdotto nel 2008 da Tommaso Padoa-Schioppa, all’epoca ministro dell’Economia, è tornato di moda quando il Tribunale di Bergamo ha costretto il padre di una studentessa trentaduenne – fuori corso da otto anni, presso la Facoltà di Filosofia – a mantenerla fino al raggiungimento dell’indipendenza economica. Le repliche del mondo politico non si sono fatte attendere. In particolare l’attenzione del stampa si è soffermata sull’intervento del ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. «Scherzo un po’» – aveva anticipato il ministro – «ma farei una legge per obbligare i ragazzi ad uscire di casa a 18 anni». Una provocazione che molti non hanno gradito, neanche all’interno della maggioranza, e d’altra parte sarebbe arduo, per un governo che si dice liberale, spiegare una simile ingerenza.
Brunetta, che non è tipo da tirarsi indietro di fronte alle polemiche, ha allora ribadito la propria opinione davanti alle telecamere. Per farla breve: meno welfare per i padri e più welfare per i figli. Inevitabile il fraintendimento, per la stampa Brunetta aveva annunciato una sorta di pensioncina per i giovani che si sarebbero decisi a lasciare casa. La smentita non si è fatta attendere: il ministro «non ha mai proposto di destinare un “salario” o un “assegno mensile” ai giovani», né ha mai usato il termine “bamboccioni”.
Molto rumore per nulla, allora? Non sia mai, il problema è concreto e va affrontato, ovviamente non con assegni mensili, che disincentiverebbero i giovani dalla ricerca di un lavoro. Su questo punto mi sembra che ormai siano tutti d’accordo. Mi chiedo però se il problema possa essere risolto con comuni politiche di welfare, come proposto dal ministro. Borse di studio e prestiti d’onore non sono una novità in Italia ma non hanno mai portato ad una inversione di rotta, anzi. Non ho mai conosciuto uno studente che, grazie alla borsa di studio, ha potuto lasciare casa.
Lo Stato semmai dovrebbe garantire maggiori possibilità occupazionali e migliori retribuzioni, soltanto un’autentica lotta al precariato può incentivare i giovani a lasciare casa. Non basta chiedere ai ragazzi di accettare l’idea di flessibilità lavorativa se poi il mercato del lavoro è saturo e per nulla dinamico. L’Italia è un Paese di bamboccioni? Forse, ma certamente non è il Paese dei balocchi.
Manfredi Pomar
(febbraio 2010)