Concorsi “apparecchiati”
Rubrica: MalauniversitàC’è un’espressione che non può mancare dal vocabolario di chi si occupa di informazione universitaria: “concorso apparecchiato”, ovvero quel concorso il cui bando è appositamente pensato per far vincere un candidato. Il concorso apparecchiato è diverso da quello truccato, il risultato è lo stesso – si agevola un candidato specifico per ragioni che non tengono conto del merito – ma il metodo è diverso. Il concorso apparecchiato è, per così dire, più subdolo: a prima vista sembra regolare, ma solo perché ad essere distorti sono i criteri di valutazione dei candidati. Volendo trovare un sinonimo appropriato, il termine “farsa” rende bene l’idea, perché se il vincitore è già deciso si può parlare di qualsiasi cosa, tranne che di concorso.
La pratica dei concorsi apparecchiati ha una lunga tradizione in Italia, così come ha una lunga tradizione una espressione che si associa bene alla precedente: “parentopoli”. Spesso infatti a beneficiare di un concorso apparecchiato è la consorte, il figlio, l’amante, il fratello di qualcuno che già gode di una posizione di rilievo all’interno dell’Ateneo.
Svelare in anticipo il nome di un possibile vincitore in Italia è relativamente facile, soprattutto quando il candidato in questione è direttamente imparentato con un docente di spicco; ben più arduo è smascherare un concorso apparecchiato senza correre il rischio di incappare in qualche denuncia per diffamazione. Di fronte ad una procedura di selezione apparentemente regolare è difficile dimostrare che il bando è stato costruito ad hoc sul profilo di un candidato.
Qualche volta invece scatta la condanna per abuso d’ufficio, come è successo a Siena, dove il Tribunale ha condannato la commissione esaminatrice di un concorso universitario per un posto di ricercatore di Medicina Legale. Secondo l’accusa, i tre docenti che componevano la commissione – Anna Coluccia, Colomba Calcagni e Lucia Avventaggiato – avrebbero scelto argomenti che esulano dalla Medicina Legale per favorire Fabio Ferretti, vicedirettore e direttore scientifico del “Centro interdipartimentale di soddisfazione dell’utenza e qualità percepita nei servizi sanitari”. Diretto proprio da uno dei tre docenti condannati dal Tribunale.
Sara Pennisi
(febbraio 2010)